L’origine della paura. Perché la fobia non è soltanto una paura e deve essere affrontata

19 Maggio 2011 | Mente e corpo umano

Introduzione

La paura fa parte del repertorio dell’uomo sin da quando fu creato, è anzi fondamentale per la sua sopravvivenza. Non si tratta di un’emozione negativa, tutt’altro: lo scopo della paura è di metterci a confronto con la realtà e di farci comprendere quali sono i possibili rischi da evitare.

In genere ci accoglie istintivamente, prima ancora che la nostra mente si renda conto dell’accaduto e riesca a elaborare un piano di fuga. Spesso, però, lo spavento che proviamo è immotivato.

Perché esiste la paura?

Alle origini il ruolo della paura era più importante: stretti nelle grotte, nel buio della notte e con il lieve lucore del fuoco, il pericolo era in agguato in ogni angolo e in caso di bisogno il corpo del primitivo doveva reagire prima della sua mente. Era questione di vita o di morte, di essere azzannati da un predatore sbucato dal nulla o di sfuggirgli, oppure anche semplicemente di capire che il tuono di un temporale non portava niente di buono.

Ed ecco quindi nascere le paure primordiali, che ancora adesso ci portiamo appresso: il buio, la grande altezza (l’uomo non è nato con le ali), i rumori improvvisi e assordanti, i volti degli estranei, oggetti e animali che non conosciamo. Sono quelle che possiamo definire «paure innate» e riconoscerle è piuttosto semplice: sono quelle paure che colgono i bambini sin dalla nascita.

Gran parte di questi timori ci appare, al giorno d’oggi, inutile e persino dannosa. È facile capire che questa “anomalia” sia dovuta al progresso troppo rapido dell’uomo, che in pochi secoli ha raggiunto uno stadio civile così avanzato che il suo corpo non ha fatto in tempo ad adattarsi di conseguenza.

Nell’ultimo secolo in particolare, la tecnologia ci ha donato una sicurezza straordinaria: adesso non dobbiamo più riguardarci fisicamente dai predatori (rimangono i predatori “metaforici”, ma si tratta di un’altra storia e richiede un adattamento diverso). La nostra mente, però, deve ancora abituarsi a questa improvvisa sicurezza.

Cos’è la fobia?

Da questo punto di vista, il progresso non è stato un bene. Anzi, il troppo benessere ci ha resi schiavi di paure che realmente sono immotivate. Le fobie sono questo, infatti: una paura irrazionale, una repulsione verso cose che non rappresentano un vero pericolo per noi e che, se affrontate, porterebbero un miglioramento alla nostra vita.

Non importa quale sia l’entità del miglioramento: se può portarci anche un minimo guadagno e noi non vogliamo affrontarla (spesso adducendo altre scuse o “alternative”), si tratta di fobia.

Quanti di voi provano repulsione alla vista di una lucertola che vi sgattaiola davanti? Quanti indietreggiano se un ragno vi blocca la via con la sua tela? Tanto le lucertole quanto i ragni, nel nostro Paese, sono per lo più innocui. E la paura di prendere l’aereo? Si tratta ancora di fobia, perché se lo guardiamo sotto l’aspetto del rischio, la possibilità di fare un incidente in auto è molto più alta che non di schiantarsi con l’aereo; manca quindi il movente “razionale”, senza contare che l’aereo in effetti migliorerebbe la nostra vita, quale comodo trasporto.

Non rientra, invece, nella categoria la paura di tuffarsi in un lago da grande altezza: in questo caso esiste un pericolo ed evitare di tuffarsi non ci causa nessun peggioramento di vita.

Quando la fobia è un pericolo sociale (per noi)

Le fobie possono diventare vere e proprie ossessioni e impedire una vita serena. L’agorafobia (la paura degli spazi aperti), per esempio, nei casi più gravi spinge il soggetto a non abbandonare la propria casa, l’unico posto che ritiene senza pericoli. La fobia, quando non è piccola, è dannosa; e in qualunque caso è inutile e controproducente.

Rendersi conto di essere fobici, spesso non è sufficiente per guarire. Fortunatamente, i farmaci sono necessari solo nei casi più complicati. La terapia d’urto migliore consiste nel mettere il fobico di fronte alla sua paura, di fargliela affrontare gradatamente.

Occorre sviluppare quella che viene chiamata «forza di volontà anevrotica», di cui ho parlato nel dettaglio in un articolo precedente (vedi tra le fonti).

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