Introduzione
Il ministro Ignazio La Russa, tra il 2007 e il 2010, ha acquistato dalla Thales Alenia Space quattro satelliti di nuova generazione. Costo: 1 miliardo e 137 milioni di euro, più 555 milioni da spendere nei futuri anni per potenziare la rete con altri due satelliti.
La rete prende il nome di Cosmo-Skymed. La sua capacità? Che ci sia cielo sereno o nuvoloso, che sia giorno o notte, è in grado di vedere gli oggetti nei dettagli fino alla grandezza di 40 centimetri, in un’area di 11 chilometri quadrati. La sua tecnologia sembra così sofisticata da rendere sconcertati anche gli americani (almeno secondo un articolo di Wikileaks).
Super-sorveglianza in mano all’intelligence italiana
Al di là del loro costo spropositato, che viene sottratto ad altre aree come quello della Ricerca, c’è da chiedersi per quale motivo siano stati richiesti questi supersatelliti. La Russa li ha assegnati immediatamente al RIS: sto parlando del Reparto Informazioni e Sicurezza istituito nel 1997, e non del Reparto Investigazioni Scientifiche (reso noto da una famosa serie televisiva). Questa branca militare svolge servizi di intelligence e sostituisce un analogo servizio nato dopo la Guerra Fredda (il SIOS).
L’aspetto che rende il RIS particolare è che, di fatto, ha il potere di agire senza seguire nessuna autorità, visto che risponde direttamente al nostro Stato Maggiore di Difesa. Traducendo, è al di sopra delle regole.
Naturalmente una tecnologia simile dà un aiuto in più nelle indagini: ma la spesa sembra piuttosto eccessiva perché sia usata soltanto per questo scopo. Aggiungiamo il fatto che le immagini sono in esclusivo possesso della Difesa militare e che spesso le scambiano con le immagini dei francesi (tenute anch’esse segrete), ed ecco che nascono dubbi e sospetti sul loro vero scopo.
Lo scopo dei supersatelliti italiani
Partiamo dalla parte visibile. I supersatelliti sono effettivamente usati per scopi civili. Quando i terremoti hanno messo in ginocchio l’Abruzzo, Haiti e il Giappone, la nostra Difesa si è fatta avanti e ha dato un aiuto concreto per scovare i superstiti e i luoghi più pericolosi. Sono stati poi usati per rilievi geologici, per scoprire le zone più inquinate dei mari, per individuare le navi mercantili.
Niente da togliere, quindi, sulla loro utilità. Se non fosse che le immagini rese per uso civile sono in bassa risoluzione (al massimo con un dettaglio di un metro): l’ASI, l’Agenzia Spaziale Italia, infatti non può selezionare risoluzioni superiori. I militari non hanno invece limiti alla risoluzione. A 40 centimetri non si possono vedere chiaramete i volti, ma di certo non sfuggono i veicoli o i gruppi di persone.
Teniamo poi conto di un altro dettaglio non trascurabile: il RIS vive nella segretezza, ma è cosa certa che si stia sviluppando in ambito tecnologico. Questo tema abbraccia anche le telecomunicazioni. Vengono monitorate telefonate, reti internet, segnali radiofonici. Il loro uso è senz’altro utile per combattere il terrorismo estero e prevenire eventuali attacchi, però nulla vieta (per quanto le leggi lo impediscano) che la nostra intelligence monitori anche informazioni locali.
La solita lotta tra privacy e sicurezza
Riassumendo: una nazione ha bisogno di un servizio di intelligence come il RIS, soprattutto in un’Era dove la tecnologia è ovunque e può danneggiarci anche da lontano. Meglio prevenire che curare. In caso di attacco informatico, saremo pronti a contrastarlo e i supersatelliti di sicuro sono indispensabili al riguardo. Ma per permettere libero movimento al RIS, questo deve essere al di sopra della legge, deve avere la possibilità di ignorare le regole nel caso sia necessario. Il che cozza con la definizione di democrazia e di uguaglianza.
La sicurezza viene davvero prima di tutto? Il fatto che il RIS sia guidato da uomini “di potere” non può essere una minaccia più grande? Se si spinge troppo oltre, chi può obbligarlo a fermarsi, visto che non è soggetto ad autorità esterne? La risposta, secondo me, dipende soltanto dai punti vista.