I peccati capitali secondo la religione
Grazie alla Divina Commedia di Dante, i peccati capitali (o meglio, vizi capitali) sono entrati a far parte del linguaggio moderno come se fossero un qualcosa di “mistico”. La religione li vede come un’opposizione alla volontà di Dio, desideri opposti alle virtù: un uomo è soggetto a un vizio capitale quando continua a ripeterlo, rendendolo un’abitudine.
La lussuria è il peggiore? Non più
Tra tutti e sette – accidia, avarizia, gola, invidia, ira, lussuria, superbia – qualcuno potrebbe pensare che, in questo nuovo secolo, il più diffuso sia la lussuria, visto che la nudità sta tornando a fare breccia in pubblico con naturalezza.
In realtà, tolte le menti di vecchio stampo (e gli eccessi, che sono sempre da condannare), è opinione sempre più allargata che la sessualità e il piacere che ne deriva siano un diritto e degli elementi comuni come il respirare. Dopotutto, tra le specie viventi è soltanto l’uomo a porsi dei freni su qualcosa che Madre Natura gli ha donato.
Qui andrebbe aperto un lungo dibattito, ma al momento mi interessa mettere l’accento su un altro aspetto: la lussuria diventa vizio capitale quando si ha un «desiderio irrefrenabile del piacere sessuale». In pratica, una vera malattia. Quindi è un male molto meno diffuso di quanto si pensi. Poteva essere considerato come un vizio nei secoli in passato, ma sta decadendo con i tempi moderni.
L’accidia, un male sempre presente
A mio parere, l’accidia è l’unico tra i vizi capitali che manterrà sempre, nella storia, una connotazione negativa e che tra l’altro sta prendendo senz’altro il sopravvento su gli altri sei “compagni”.
Perché? L’accidia è la non-volontà di agire, un misto di indifferenza, di noia e di torpore. Il suo stesso nome deriva dal greco e ha il significato di «senza dolore», indolente. Entrando più nello specifico, l’accidia è tale se non si fa qualcosa di bene per pura indifferenza o noia. Per la Chiesa, diventa peccato capitale quando, per questi motivi, non facciamo del bene.
Se prendiamo questa definizione, ci accorgiamo che tutti, prima o poi, siamo stati degli accidiosi. A chi non è capitato di pensare «potrei aiutare, ma non ho né il tempo né la voglia di farlo»?. È una conseguenza dell’egoismo dell’essere umano: inconsciamente o meno, siamo portati a curarci prima di noi che degli altri. Anche quando si dimostra pronto ad aiutare gli altri, lo fa per un intimo scopo personale.
Potremmo estendere l’indifferenza a qualunque campo: all’immagine di una guerra, ai senzatetti che incrociamo per la strada, alla situazione dei disidratati in Africa, alla povertà dei Paesi sottosviluppati.
Le cure per questi mali esistono. Per quanto siano su larga scala e a livello mondiale, tutto può essere sanato. Cosa lo impedisce? Gli interessi economici in primis, la volontà di rendere più forte la propria nazione (la propria casa, la propria vita) a discapito delle altre in secundis. In una parola: l’egoismo. È facile nasconderlo dietro l’indifferenza, perché se gran parte della gente lo fa, diventa di uso comune.
Ed ecco che l’accidia è, al giorno d’oggi, il peccato capitale per eccellenza.