Un popolo particolare
I Maya erano un popolo straordinario. Non conoscevano la ruota, ma erano capaci di creare imponenti strutture di pietra e addirittura delle reti stradali. Non avevano bestie da soma e non sapevano manipolare i metalli, ma erano abili coltivatori e avevano conoscenze astronomiche profonde, che comprendevano anche pianeti non visibili a occhio umano.
Quello che li ha resi famosi, però, è la serie di ipotesi legate alla loro profezia sulla “fine del mondo”: nell’articolo abbiamo visto quanto fosse complicato e preciso il loro calendario e quale fosse il significato della loro profezia.
C’è da dire che “Fine del mondo” è un termine inappropriato: si parlava di un cambiamento e, tra l’altro, indizi sempre più dettagliati portano a credere che si tratti di una data scelta casualmente per motivi politici. Dopotutto, credete davvero che un popolo sia stato capace di prevedere il futuro a distanza di secoli (e tra l’altro con tanta precisione da stabilire un giorno specifico), quando non è neanche stato in grado di prevedere la propria fine?
Resta un dato storico, infatti, che questo popolo magnifico sia andato incontro a una decadenza rapida, quasi violenta. La causa di tutto? I Maya stessi.
Guerre e sacrifici
Dal 500 a.C. al 1502 d.C. i Maya si svilupparono e raggiunsero livelli inaspettati. La loro cultura fondava l’origine su un popolo precedente, gli Olmechi – anche se alcune tracce lasciano presumere che i due popoli si svilupparono contemporaneamente. Vivevano di coltivazione, soprattutto mais, e seguendo uno stile religioso tutto particolare, che prevedeva (tra le altre cose) sacrifici che oggi troveremmo terribili.
All’apice della loro potenza, in Guatemala contavano dai 3 ai 14 milioni di abitanti. Nel 1500 d.C. erano rimasti soltanto in 30mila. Poi arrivarono gli spagnoli dall’Europa e la situazione peggiorò: nel censimento del 1714 erano rimasti solo 3 mila individui capaci di parlare la lingua maya.
Non furono i conquistadores spagnoli, però, la vera causa del declino. Il problema partì dalle guerre intestine tra i popoli nativi. Le città maya si mossero battaglia tra loro per la conquista di risorse. Ci furono, letteralmente, dei massacri. Nella cultura del mesoamerica inoltre, spesso i nemici catturati finivano in sacrificio agli dèi: sembra però che questa usanza tra i Maya fosse rivolta solo ai capi nemici (mentre gli altri prigionieri erano risparmiati quale utile forza lavoro), mentre era cosa più comune in altri popoli come gli Aztechi.
I sacrifici divennero sempre più violenti con l’aumentare delle carestie (dovute non solo alla guerra). I nobili erano uccisi in modo orribili – come l’impalazione – soltanto per placare gli dèi, visto che ori e gioielli spesso non venivano toccati.
Alle guerre si aggiunsero delle naturali epidemie dovute ai morti e alle migrazioni costrette.
Uno scenario molto moderno: le risorse troppo sfruttate
Perché tanto sforzo per accapparrarsi le risorse degli altri? Il fatto è che i Maya sfruttarono così tanto il territorio che le materie prime cominciarono a scarseggiare un po’ ovunque. La costruzione dei templi richiedeva molta calce e, per produrre quest’ultima, c’era bisogno di legname per avviare le fornaci sempre più grandi: di conseguenza si disboscò gran parte della zona.
Aggiungiamo a tutto questo un peggioramento del clima ambientale, che gravò sulle coltivazioni con ben tre periodi di siccità, e il risultato è una miscela esplosiva. Ci sono testimonianze di rivolte dei contadini, esasperati dalla situazione.
Vi ricorda qualcosa di moderno questo scenario apocalittico? L’uomo non ha mai smesso di muovere guerra, ma con i secoli ha ridotto le battaglie dirette. In compenso, ha aumentato e peggiorato lo sfruttamento delle risorse. Probabilmente la profezia non parlava della fine del mondo, ma la storia dei Maya qualche insegnamento può comunque darcelo.