L’isola del tesoro
Avete mai letto il libro L’Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson? Se non lo avete fatto, nella vostra cultura manca una perla miliare, perché su di esso sono stati girati film, scritti articoli e creati dei cloni spesso interessanti.
Una cosa che forse neanche i lettori più appassionati conoscono è l’origine di uno dei personaggi principali del racconto: John Long Silver, l’astuto pirata descritto con un pappagallo sulla spalla e una stampella al posto della gamba. La classica figura del pirata rodato (una descrizione piuttosto romanzata, visto che come abbiamo visto gran parte dei luoghi comuni sui pirati vanno sfatati).
Stevenson non ha costruito John Silver da zero, ma per l’aspetto si è basato su un amico che a causa di una malattia ha dovuto subire l’amputazione di una gamba per sopravvivere. Il suo nome era William Ernest Henley.
Una forza d’animo inarrestabile
Henley aveva una dote naturale: una forza d’animo fuori dal comune, che gli permise di affrontare ogni difficoltà a testa alta. Si diplomò nel 1867 e traslocò a Londra per diventare giornalista. Il figlio di Stevenson, Lloyd Osbourne, disse di Henley che sembrava «un grosso, sanguigno individuo dalle spalle larghe con una gran barba rossa e una stampella; gioviale, sorprendentemente arguto, e con una risata che scrosciava come musica; aveva una vitalità e una passione inimmaginabili; era assolutamente travolgente».
Non si dava mai per vinto. Tutto il suo ardore, la sua determinazione e la sua forza d’animo sono espressi in una poesia scritta da Henley stesso mentre era sul letto dell’ospedale: Invictus (letteralmente “invitto, mai sconfitto”).
Ogni verso di questa poesia trasuda libertà, forza, coraggio e potere. Quando Nelson Mandela fu imprigionato per la sua lotta anti-razzista contro l’apartheid, per sua stessa ammissione riuscì a resistere anni in galera soprattutto grazie alla lettura della grandiosa Invictus.
Non aggiungo altro. Provate a leggere queste quattro strofe e capirete cosa intendo.
Invictus
Dal profondo della notte che mi avvolge,
Buia come un pozzo che va da un polo all’altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per l’indomabile anima mia.Nella feroce stretta delle circostanze
Non mi sono tirato indietro né ho pianto forte.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma indomito.Oltre questo luogo d’ira e di lacrime
Si profila il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.
Invictus (testo originale inglese)
Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.