Verità e ignoranza
Parlando di «ignoranza» intendo naturalmente il senso letterale del termine: chi non conosce, chi non ha completa padronanza della materia. E la materia in questione, in questo caso, è la vita stessa.
Platone era un filosofo greco e traeva conclusioni attraverso la logica e il ragionamento. Il suo scopo principale era di raggiungere la «verità universale», ovvero quella verità che non dipendeva dal soggetto, che era valida per chiunque nonostante la si guardasse da diversi punti di vista.
Perché era così importante la ricerca della verità? Ai suoi tempi la politica era estremamente complessa – può sembrarvi strano, ma era persino più complicata di quella moderna, basata sul nepotismo (oggi lo chiameremmo “favoritismi in famiglia”) e su un’idea molto semplice: la maggioranza aveva ragione. Un concetto che Platone non digeriva.
A suo avviso, il fatto che la maggioranza fosse d’accordo su un argomento non significava che “avesse ragione”. Se un’idea sbagliata prendeva piede e tutti la seguivano, significava forse che la maggioranza aveva fatto la scelta migliore?
Osservare il mondo con i propri occhi è l’unico modo per «conoscere»
Il problema era appunto questo: i luoghi comuni, il seguire una strada solo perché lo fa gran parte della gente. Si tratta di ideologie che l’essere umano si porta dalla nascita e che apprende dagli altri. Quasi niente di quello che un uomo apprende nella vita è farina del suo sacco: tutto quello che crede di conoscere, in realtà, è una “copia” trasmessa da qualcun altro.
Ho affrontato l’argomento in altro articolo, dove si parlava appunto di quanto fosse pericoloso vivere seguendo la folla perché «così fan tutti». Nessuno ne è immune: chi più, chi meno, siamo tutti ignoranti.
Per Platone esiste un modo per uscire dall’ignoranza. Bisogna abbandonare la propria identità, dimenticare quello che si è stato e si è appreso, e ripartire da zero. Osservare il mondo con i propri occhi, non appoggiarsi ai luoghi comuni e al sentito dire. Bisogna interagire, discutere, dialogare – non imporre la propria idea, perché anche il nostro pensiero può essere sbagliato quanto il pensiero degli altri.
Serve la guida adatta
Perché ogni essere umano abbia la spinta per “illuminarsi”, ci si deve rivolgere a un maestro che abbia già raggiunto «il cammino di conoscenza» e che quindi possa insegnarlo agli altri. Costui dovrà governare senza pretendere denaro, senza possedere nulla, nemmeno una famiglia, così che non sia tentato di anteporre i suoi bisogni a quelli del popolo. In pratica, chiedeva un filosofo al potere, perché era l’unico ad avere come unico scopo la ricerca della verità e non i propri interessi personali.
Uno scenario impossibile, potremmo dire, visti i valori su cui si basa la nostra società: competizione, presa del potere, politici disposti a mentire pur di fare i propri interessi. In effetti, Platone aveva un’ottima idea ma non sapeva come iniziare a realizzarla – così come non lo sapevano i grandi pensatori futuri, Marx in primis.
Se avete qualche proposta, fatevi pure avanti, perché fino a oggi nessuno ha scoperto “il pezzo iniziale” del puzzle.
Il mito della caverna di Platone
Per spiegarlo al popolo, Platone aveva elaborato un semplice mito che disegnasse la nostra vita da ignoranti e il percorso da seguire per raggiungere la conoscenza. Metto in corsivo le interpretazioni utili.
Immaginate di essere all’interno di una caverna buia. Siete incantenati con il corpo e non potete muovere neppure la testa. Siete costretti a fissare il fondo della grotta e nient’altro.
Alle vostre spalle, in lontananza, si trova l’uscita. Quando una persona passa o il vento scuote un albero, sul fondo della vostra caverna vedete soltanto le loro ombre create dalla luce esterna.
Inoltre, all’interno della caverna, qualsiasi rumore proveniente da fuori si sente come un’eco e avete l’impressione che i suoni provengano direttamente dalle ombre – non potrebbe essere altrimenti, visto che sin dall’infanzia non avete conosciuto altro.
Per tutta la vita avete vissuto in questo modo: osservando soltanto ombre. A vostro parere è una condizione assolutamente normale, perché ci siete nati e altri migliaia di prigionieri sono incantenati come voi alle loro caverne e vedono nient’altro che il fondo buio.
Il buio rappresenta l’ignoranza, i luoghi comuni, e i deboli aloni di luce che formano le ombre rappresentano i barlumi di conoscenza.
La liberazione
A un certo punto, qualcuno o qualcosa spezza le vostre catene e vi costringe a voltarvi. Non appena piantate gli occhi sulla luce esterne, ne rimanete abbagliati. Non vedete più nulla e la vostra tentazione e di rivoltarvi dall’altra parte per fissare il fondo della caverna, dove riuscivate per lo meno a scorgere le ombre.
È a questo punto che deve entrare in campo una guida o una forza interiore, che vi spinga a proseguire.
A Platone mancava esattamente questo passaggio: l’elemento che spinga l’essere umano a guardare avanti invece di voltarsi, cioè a liberarsi della condizione passata per ricercare la verità.
Chi avesse il coraggio di uscire, si ritroverebbe ad alzare gli occhi verso il Sole – che non ha mai visto – e si ritroverebbe ancora più accecato. Lentamente, capite che l’unica cosa da fare è di cominciare a osservare le cose attraverso il loro riflesso. Vi avvicinate ai laghi, osservate le ombre a terra – che sono più nitide di quelle della caverna.
La verità è per pochi
Quando i vostri occhi si saranno adattati, li alzerete verso i veri alberi e le vere montagne, guarderete le nuvole e il cielo. Infine, vi verrà la tentazione di osservare di nuovo il Sole. Solo chi ha occhi temprati riuscirà a mantenere lo sguardo fisso sulla sfera luminosa: chiunque altro sarà costretto a distogliere lo sguardo dopo alcuni secondi, sentendo i propri occhi bruciare.
L’osservazione graduale rappresenta l’apprendimento. Si passa dal riflesso – una copia della verità – agli elementi minori e infine al Sole, la verità assoluta, che è alla portata di pochissimi ricercatori.
Il mito si conclude con una sorta di monito. Chi ha appreso la vera conoscenza, avrebbe il dovere di ritornare nelle caverne e cercare di istruire gli altri prigionieri, in modo che anch’essi abbiano la possibilità di apprendere. Il problema è che, come abbiamo avuto difficoltà a “imparare” la luce, al nostro ritorno avremo difficoltà ad “abbassarci” al livello dei prigionieri, a scendere al livello del loro modo di pensare.
È un po’ come un adulto che cerca di discutere con un bambino. I nostri modi di vedere le cose, come sappiamo, sono in gran parte opposti.