Le tre insegne sacre e imperiali del Giappone – Il mito della loro origine

27 Aprile 2014 | Miti e religione

Tra miti e realtà

Il Giappone è una terra senza tempo. Letteralmente, considerando che la sua cultura è legata a storie mitologiche appartenenti all’origine dei tempi.

Una magnifica leggenda racconta dell’origine dei Sanshu-no-Jingi («tre sacri tesori»), tre simboli imperiali legati agli déi e agli antichi albori giapponesi. Si tratta della Spada del paradiso, della Gemma e dello Specchio di forma ottagonale. Rappresentano rispettivamente il valore, la benevolenza e la saggezza del Giappone. Fu Ninigi-no-Mikoto, nipote della dea Amaterasu, a portare i tre oggetti nel periodo in cui arrivò per pacificare il Giappone.

Quando un nuovo imperatore ascende al torno, le tre insegne vengono mostrate in onore della cerimonia. L’ultima occasione è avvenuta il 7 gennaio 1989, quando Akihito fu decretato imperatore.
Ma soltanto pochi eletti possono assistere al rituale: l’imperatore stesso e alcuni sacerdoti. Di fatto, al pubblico non sono mai state rese note, alimentando l’idea della leggenda e il dubbio sulla loro esistenza.

Tracce poco chiare

Nei testi giapponesi troviamo anche delle tracce storiche di queste insegne. Nel Nihonshoki si dice che la spada fu trasferita nel 688 dal palazzo imperiale al Tempio di Atsuta, a Nagoya; altre informazioni affermano che fu persa in mare nel sesto secolo e recuperata dai monaci shintoisti di Ise.

La prova? Nessuna definitiva, ma un sacerdote shintoista del Periodo Edo (1603-1868) testimonia di averla vista proprio al Tempio di Atsuta: la descrisse come lunga 84 cm e di metallo bianco, ancora ben conservato.

Ama no Murakumo – La spada del paradiso

Come abbiamo visto, per la tradizione nipponica le katane non sono soltanto armi che si avvicinano alla perfezione, ma anche simboli di spiritualità e di mitologia. È la leggenda a spiegare che Susanoo, il dio del mare e delle tempeste, in tempi ancestrali incontrò una famiglia che aveva perduto ben sette figlie, sacrificate per placare il mostro a otto teste Yamata no Orochi.

Susanoo si innamorò dell’ultima figlia rimasta in vita, Kushinada, e per salvarla decise di affrontare il mostro di persona, facendo uso di uno stratagemma: per proteggere la giovane all’arrivo del mostro, Susanoo la trasformò temporaneamente in un pettine, quindi presentò a Orochi otto barili di sakè e lo portò a ubriacarsi.

Secondo una versione, Susanoo uscì dal nascondiglio e uccise subito il mostro. Ma esiste una seconda versione più avvincente: nonostante la sbornia, lo spaventoso Orochi si battè per ore, ma alla fine dovette capitolare a causa della stanchezza da ubriacatura. Susanoo gli recise le otto teste e le prime sette code. L’ottava coda (per alcuni la quarta), tuttavia, si dimostrò estremamente resistente.

Era questa coda a nascondere la spada Ama no Murakumo (la «spada del paradiso», chiamata anche Kusanagi).

Un dono al Sole

La leggenda continua, narrando che in seguito la spada fu consegnata ad Amaterasu, dea del Sole e sorella di Susanoo, come dono per placare un diverbio, e che nei secoli arrivò nel fodero di Yamato Takeru, grande guerriero e principe che occupò un posto di risalto nella storia giapponese. Yamato scoprì che la Kusanagi aveva il potere di controllare i venti e la usò per salvarsi la vita in un incendio, dopo essere caduto vittima di un’imboscata da parte degli Ainu (una popolazione di “selvaggi”)

Un’annotazione: il nome della spada era inizialmente più esteso; si chiamava infatti Ama-no-Murakumo-no-Tsurugi, la cui traduzione letterale era «la spada che raccoglie le nuvole del paradiso». Per motivi di semplicità, fu poi ridotta alla più breve Kusanagi-no-Tsurugi, «la spada che falcia l’erba», o come abbiamo visto nell’altra versione Ama-no-Murakumo, «la spada del paradiso». Un’altra interpretazione traduce Kusanagi in «spada del serpente» (“nagi” significa infatti “serpente”).

Yasakani no Magatama e Yata no Kagami – La gemma e lo specchio

Yasakani no Magatama significa «giada di Yasakani» e tradizionalmente la si raffigura come un oggetto verde a forma di “C” con un foro nella parte superiore (in pratica una sorta di “9” con l’apice stretto). All’origine, comunque, doveva essere stata una collana, regalata dalla dea Izanagi alla figlia Amaterasu. Il suo mito è strettamente legato a quello di Yata no Kagami, lo specchio in bronzo la cui origine risale nella Cina o nella Corea.

La leggenda racconta che la dea del sole Amaterasu, a causa di uno screzio, stesse fuggendo dal fratello Susanoo. Si nasconde in una caverna e, di conseguenza, fece cadere il mondo in una profonda oscurità. Fu la dea Ama-no-Uzume ad attirarla all’esterno: appese fuori dalla caverna, su un albero, lo specchio e la gemma. Amaterasu vide il proprio riflesso nello specchio e ne fu così stupita che gli déi poterono attirarla all’esterno senza troppi sforzi.

Alcune notizie – mai confermate, visto che le tre insegne non sono accessibili – vogliono che la gemma risieda nel Palazzo Imperiale di Tokyo e che lo specchio si trovi al tempio di Ise.

Fonti principali
Bifrost - In questo sito potete recuperare una copia del Kojiki, utile per approfondire
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