L’agricoltura ci ha spianato la strada
Ce lo insegnano sui libri di scuola: se l’uomo non avesse scoperto l’agricoltura, la società moderna non esisterebbe. Assieme a pochi altri fattori, come il fuoco e la scrittura, la coltivazione rappresenta un elemento fondamentale per trasformare l’uomo da animale a quello che siamo.
A questo punto c’è da chiedersi, in effetti, quanto sia stato profondo il cambiamento e perché. In altre parole, se l’uomo avrebbe potuto creare una società avanzata anche in essenza di un’agricoltura.
La seconda domanda da porci è: l’agricoltura ha portato soltanto benefici? Su quest’ultima in particolare il dibattito è accesso.
Stessa scoperta, luoghi diversi: com’è possibile?
Un fatto piuttosto strano è che l’agricoltura nacque contemporaneamente in popoli umani che abitavano a miglia di distanza tra loro e che non avevano nessuna possibilità di comunicare. La logica lascerebbe pensare che, in qualche modo, il primo popolo che l’ha scoperta abbia in qualche modo trasmesso le conoscenze agli altri popoli: ma questa teoria non regge, per il semplice motivo che i luoghi di cui parliamo non avevano vie di comunicazioni possibili senza un’adeguata tecnologia.
Circa 10.000 anni fa appaiono i primi segni di coltivazione nella Valle del Nilo e nella Mezzaluna fertile, dove si concentravano le pianure e i grandi fiumi: Nilo, Giordano, Tigri ed Eufrate.
Ma nello stesso periodo l’agricoltura nasce in Cina e in Sudamerica; l’orzo e le lenticchie sono usati nell’Asia del sud tra i 9 e i 12 mila anni fa, il riso in Thailandia e in Cina circa 9.500 anni fa, le patate in Sudamerica circa 6.000 anni fa. Luoghi così lontani che l’uomo della mesopotamia avrebbe dovuto viaggiare mesi e mesi per raggiungerli (e non si spiega perché avrebbe dovuto farlo, visto che proprio grazie alla coltivazione stava cominciando a diventare sedentario).
Come spieghiamo questa rivoluzione improvvisa in vari angoli della Terra? Evitiamo di entrare nella pseudoarcheologia, cioè quel lato della storia che va contro le teorie ufficiali, che tra le varie idee ipotizza l’intervento di civiltà estremamente evolute che hanno influenzato l’uomo primitivo. Concentriamoci solo su cosa dicono gli esperti “riconosciuti”.
Cervello e piante
La prima spinta la dobbiamo alla fine della glaciazione. Con lo scioglimento dei ghiacci, il clima è diventato più favorevole.
Un altro fattore, però non confermato da reperti, potrebbe essere stato l’aumento demografico dell’uomo: le risorse da cercare iniziarono a scarseggiare e quindi le si doveva creare, produrre.
Probabilmente la spinta maggiore fu il cervello dell’uomo stesso, che era cambiato; in pratica aveva evoluto il suo “pensiero”, stabilendo da solo che era meglio rimanere in un posto invece di spostarsi di continuo: in questo modo si favorivano i rapporti, gli scambi e le gerarchie. Lo dimostra il fatto che l’uomo divenne dapprima sedentario e solo in seguito imparò a coltivare.
Ma ci potrebbe essere stato un altro aiuto, di cui abbiamo parlato in un articolo precedente: l’evoluzione delle piante. La storia ci mostra che da sempre le piante si evolvono in modi straordinari, influenzando qualsiasi altra forma di vita. Nel caso dell’uomo, fu la mutazione del grano a fare la differenza: quando i chicchi maturavano, non cadevano più, e l’uomo si accorse di poterlo raccogliere per coltivarlo in futuro. Prima di allora non era possibile, perché il chicco a maturazione cadeva immediatamente.
Da questo punto di vista, l’essere umano si trovò davanti la capacità (e l’illusione) di poter controllare la natura per la prima volta nella sua esistenza.
Le conseguenze dell’agricoltura: alleviamo animali perché dovevamo coltivare
L’avvio delle coltivazioni diede all’essere umano una grande sensazione di sicurezza. Non c’era più bisogno di pericolose spedizioni di caccia, bastava assicurarsi che il prossimo raccolto sarebbe andato a buon fine per non morire di fame. Inoltre, l’agricoltura poteva essere gestita anche da donne, vecchi e bambini: un grande vantaggio lavorativo.
La conseguenza è che i popoli smisero di viaggiare – tranne quando il terreno, per vari motivi, diventava improduttivo o inaccessibile. Tutto il resto è storia: nacquero insediamenti che si trasformarono in città, si crearono comunità e leggi per stabilire un ordine, si formarono nuovi tipi di lavoro; l’uomo “più pigro” aveva il tempo per pensare a costruire nuove comodità; e arriviamo così ai giorni nostri.
Guerre e cibo poco vario
Ma non è tutto oro quello che luccica. La sedentarietà portò ad altri problemi non trascurabili.
I campi coltivati dovevano essere protetti dagli altri popoli razziatori: si creò così la proprietà privata, ovvero vere e proprie recinzioni per capire a chi appartenesse un campo e per tenere (legalmente) alla larga chi lo invadeva; se non si rispettava questa regola, poteva anche scoppiare una guerra. A questo punto non si trattavano più di “scaramucce”, ma di guerre su larga scala tra popoli diversi, che ovviamente cercava di ottenere il luogo migliore per sopravvivere.
Le conseguenze più gravi si presentarono a livello di salute del corpo. Se da una parte i popoli erano più sicuri dai predatori, dall’altra il poco spostamento significava scarsa varietà di cibo: diminuirono calorie, proteine, vitamine e minerali. Si formarono, quindi, problemi di struttura, come la fragilità delle ossa.
Malattie e sovrappopolazione
Per sopperire al bisogno di carne nacque l’allevamento. Ma rimanere fermi in un luogo significava convivere anche con animali dannosi, come le zanzare portatrici di malaria. Le malattie si diffusero, quando prima erano piuttosto rare, e si trascinarono fino al giorno d’oggi. Non parliamo poi della quantità di acqua che viene “sprecata” ancora oggi per le coltivazioni.
Anche il fatto di vivere più a lungo, grazie alla sicurezza, ha un rovescio della medaglia: la sovrappopolazione, che porta a un disequilibrio tra numero di persone e risorse disponibili. Un altro problema con cui dobbiamo fare i conti a tutt’oggi.
Considerazioni
C’è da chiedersi se l’essere umano abbia davvero ottenuto un vantaggio con la coltivazione. Da una parte ha avuto lati positivi, dall’altra una serie a catena di conseguenze negative di cui non riusciamo a liberarci e che vanno a influire sulle altre forme di vita.
Considerato il quadro completo, c’è chi afferma che la cosa migliore sarebbe stata non scoprire l’agricoltura e continuare a vivere da meno evoluti e a spostarsi come fanno tutt’ora gli animali. Più difficoltà a sopravvivere alla giornata, ma una vita senz’altro più spensierata una volta riempita la pancia.
D’altro canto, se non avessimo accolto la coltivazione, noi non saremmo quelli che siamo e non staremmo qui a porci simili domande.