Secondo la NASA attorno alla Terra ci sono circa 22.000 oggetti più grandi di 10 cm e milioni di frammenti più piccoli. I frammenti viaggiano 7 volte più veloci di un proiettile e, visto che le leggi fisiche non sono un’opinione, questo significa che anche il più piccolo residuo può trasformarsi in un’arma potente capace di distruggere un veicolo spaziale.
La distruzione di un satellite artificiale, però, non è il pericolo più grande. Lo scenario peggiore prevede una tremenda reazione catena, innescata appunto da una collisione iniziale, che porterebbe a danni enormi e incontrollati.
Prima di entrare nel vivo dell’articolo, meglio fare una rapida premessa: i satelliti ci servono. Ormai sono tanto integrati nella nostra vita quotidiana che non ci rendiamo nemmeno conto di quanto ne facciamo uso, a partire dalle previsioni meteorologiche fino ad arrivare ai nostri cellulari, ai video online e agli orari degli autobus. Quindi «evitare di mandare altri satelliti in orbita» non è una soluzione, a meno che non vogliamo fare un grande passo indietro nel mondo tecnologico. La soluzione è invece trovare un sistema per eliminare i detriti inutili.
Detriti accumulati dagli anni ’50
Nel 1958 gli USA hanno lanciato il satellite Vanguard I, che è tutt’ora in orbita e rappresenta il più antico detrito a minacciare la Terra. Da allora gli oggetti spaziali si sono accumulati a grande velocità, fino a raggiungere la situazione critica che conosciamo.
Tra i detriti a fare da cornice al nostro pianeta si contano frammenti di satelliti, vernici, particelle artificiali e polveri, liquidi refrigeranti e materiali emessi dai motori dei razzi. Ci sono anche dei reperti storici perduti dagli astronauti: uno spazzolino da denti, una chiave inglese, un paio di pinze, il guanto di Edward Higgins White, (primo americano a fare una passeggiata spaziale) e la fotocamera di Michael Collins (che partecipò tra le altre alla missione Apollo 11 che portò il primo equipaggio sulla Luna).
Il rischio per i veicoli spaziali
Sebbene le strutture più importanti, come la ISS, abbiano delle schermature per proteggersi dalle collisioni più comuni, il rischio resta comunque alto, semplicemente perché con una quantità simile di materiale non riusciamo a prevedere in anticipo le conseguenze per costruire le dovute protezioni. Parlando della ISS, per esempio, il 13 marzo 2009 ha rischiato di essere vittima di una collisione con un detrito: visto che non c’erano i mezzi per proteggersi, l’equipaggio è stato avvertito di prepararsi ad abbandonare la stazione.
Uno studio del 2008 ha concluso che una tipica missione dello Space Shuttle diretta verso la ISS ha 1 possibilità su 300 di entrare in collisione con un detrito: davvero molto alta, visti i costi di preparazione. E a circa 540 km di altitudine, dove si trova il telescopio spaziale Hubble, il rischio è aumento a causa del maggiore numero di frammenti.
Scontri recenti tra satelliti
Ma abbiamo un caso diretto di collisione, avvenuta il 10 febbraio 2009. Il satellite Cosmos 2251, che era inattivo, ha impattato contro il satellite Iridium 33, che invece operava ancora. Lo scontro è avvenuto sopra la Siberia a 789 km e a una velocità di 11,7 km/s (oltre 42.000 km/h). I satelliti, ovviamente, sono stati distrutti, ma il guaio è che si sono prodotti circa 1.700 frammenti incontrollati.
E il 22 gennaio 2013 è stata la volta dei satelliti Fengyun 1C (cinese) e BLITS (russo).
Lo scenario peggiore: l’orbita densa di detriti
In onore di Donal J. Kessler, consulente della NASA, è stato coniato il termine di «sindrome di Kessler». Si tratta di uno scenario apocalittico e realistico proposto da lui nel 1991, che prevede un accumulo così alto di detriti nelle orbite basse della Terra da provocare delle collisioni frequenti.
In uno scenario simile, le collisioni portano i detriti a cozzare tra loro con una reazione a catena incontrollabile e inaspettata. La conseguenza? Addio per (molti) decenni all’esplorazione spaziale e soprattutto all’uso di satelliti artificiali, il che significa la perdita di una tecnologia che tutti noi usiamo ogni giorno.
Cosa si sta facendo per eliminare la spazzatura spaziale?
Il problema della spazzatura spaziale è tanto grave da aver portato l’ONU a creare un’organizzazione specifica per occuparsi dei detriti spaziali e che coinvolge varie Nazioni: la IADC («Inter Agency space Debris Coordination commitee»).
Le ricerche hanno portato alla catalogazione di circa 13.000 oggetti, in continuo aggiornamento. Il problema è che rappresentano solo una minuscola parte del totale: tracciare i frammenti più piccoli di 10 cm è davvero complicato, anche se in linea teorica i nostri radar e i laser potrebbero seguire detriti più piccoli di 1 cm.
Alla difficoltà fisica si aggiunge anche la politica, perché trovare degli accordi internazionali (per esempio per ridurre il rischio di perdite durante le esplosioni in orbita) è naturalmente difficile, come avviene sempre nelle questioni che vanno a intaccare le economie di uno Stato.
Alcune soluzioni
Tra le varie soluzioni per recuperare i resti spaziali si è pensato a un sistema per rallentare i satelliti quando terminano il loro ciclo di vita, in modo poi da poterlo recuperare. Siccome recuperarli richiede un grande consumo di carburante, l‘idea è di farlo scendere in modo controllato in orbite più basse. Per il satellite francese SPOT l’impresa ha avuto successo, per cui c’è speranza.
Evitare un ulteriore accumulo di detriti è essenziale, ma non sufficiente: i frammenti già presenti continuerebbero comunque a rappresentare un rischio per i nostri satelliti. Ecco perché la NASA sta facendo proposte su proposte per catturare i resti, tra cui spicca l’uso di reti giganti o di magneti.
Altre proposte arrivano dalla neo-potenza spaziale della Cina, che sta valutando l’uso dei laser per disintegrare i frammenti: ma qua i dubbi sono alti, perché potrebbero generare altri resti più piccoli. Inoltre, le altre Nazioni non sono propense a lasciare che la Cina generi una simile “arma letale” per i satelliti, che potrebbe essere usata anche per scopi militari.
In definitiva, le proposte ci sono, ma al momento sono complicate e costose da realizzare. In ogni caso, è evidente che qualcosa bisogna fare prima di raggiungere un punto critico.