Sommario
La battaglia delle Termopili – Preparazione e cause
La battaglia delle Termopili – La battaglia
Introduzione
Dei morti alle Termopili
gloriosa la sorte, bella la fine,
la tomba un altare, invece di pianti, il ricordo, il compianto è lode.
Un tal sudario né ruggine
né il tempo mangiatutto oscurerà.Questo sacello d’eroi valorosi come abitatrice la gloria
d’Ellade si prese. Ne fa fede anche Leonida,
il re di Sparta, che ha lasciato di virtù grande
ornamento e imperitura gloria.
Simonide di Ceo, poeta greco (550 a.C. – 467 a.C.)
Il mito ce li ha tramandati come guerrieri dalla forza innaturale, sprezzanti della loro sorte, capaci di opporsi a un esercito mille volte più numeroso: 300 uomini alla testa di qualche miglia di soldati che affrontano un impero così vasto che l’occhio non riesce ad abbracciarlo.
La letteratura e la filmologia hanno enfatizzato la verità, concedendo ai soli trecento guerrieri il merito di aver trattenuto per tre giorni interi un’avanzata di un milione di uomini. Per citarne uno, si veda il film 300 diretto da Zack Snyder, ispirato dal meraviglioso fumetto di Frank Miller – un film dagli aspetti cupi e profondi, diretto da una regia eccezionale che di proposito ha marcato gli aspetti “mitici”.
Ma la realtà, come succede spesso, è un po’ diversa dal mito. Senza nulla togliere al coraggio dei trecento guerrieri, la loro opera sarebbe morta sul nascere senza l’aiuto degli ateniesi che misero a disposizione il loro esercito. Soprattutto, la resistenza sarebbe caduta già dopo il primo giorno, se un perfetto stratega di nome Temistocle non avesse trattenuto la flotta persiana sul mare, un uomo che i film tendono a dimenticare.
Procediamo con ordine. Cosa scatenò la guerra? Chi furono gli autori di questa battaglia destinata a risuonare nei secoli? E cosa avvenne, effettivamente, durante i tre giorni intensi di scontri?
L’evento non può essere liquidato in poche righe. Per capire i fattori che lo misero in moto, è indispensabile affrontare la storia dalle sue fondamenta e conoscere i due popoli che si trovarono faccia a faccia per guerreggiare come avversari giurati. In questo articolo vedremo una panoramica del casus belli, della potenza dei due eserciti e della cultura di ambedue le parti. Nel prossimo articolo ci concentreremo esclusivamente sulla guerra vera e propria.
Pochi lo immaginano, ma se la battaglia delle Termopili fosse andata in modo diverso, forse la democrazia che oggi governa una buona parte del pianeta non esisterebbe.
La grandiosa premessa: la battaglia di Maratona
Nel 499 a.C., l’impero persiano si estende dall’India all’Egitto, un immenso territorio governato da Dario. Nonostante le leggi dell’impero lascino una grande libertà alle regioni conquistate, le colonie greche della Ionia si ribellano e danno alle fiamme la capitale Sardi. Il fatto che più fece infuriare Dario fu l’intervento degli ateniesi, che aiutarono i ribelli nell’impresa. L’imperatore giurò vendetta. La sua rabbia era tale che diede ordine a uno schiavo di sussurrargli, prima di ogni pasto: «Sire, ricordati degli ateniesi».
Nel 490 a.C. Dario è pronto all’attacco. Invia una flotta nel Mar Egeo, spinto dal desiderio di distruggere Atene, e fa sbarcare il suo esercito di 30mila uomini sulla piana di Maratona. Qui trovò ad aspettarlo soltanto 8mila greci. Incuranti del numero soverchiante, i greci spingono i persiani ad attaccarli. I persiani sfondano le file e costringono i greci a sfaldare i loro fianchi; poi spingono il centro verso l’interno della piana. Ma si tratta di una trappola ben orchestrata. I fianchi sfaldati, invece di ritirarsi, circondano i persiani sui due lati scoperti e iniziano una carneficina inaspettata. Travolti dalla furia, i persiani si ritirano verso le navi, ma gli ateniesi li tallonano da vicino e, una volta arrivati sulla spiaggia, fanno scempio del nemico tagliando loro le mani e impedendo la ritirata.
Potete immaginarvi il disonore provato dall’imperatore. 30uomini battuti da 8mila guerrieri, senza contare il mancato tentativo di vendicarsi. Mentre i persiani si leccano le ferite, un messaggero greco copre la distanza tra Maratona e Atene per dare la buona novella – quella famosa corsa che lo vide cadere morto al termine della corsa, stremato per la fatica, e che diede i natali alle famose maratone che conosciamo oggi.
Dario non dimenticò l’affronto. Anzi, più motivato di prima, allevò il figlio Serse all’arte della guerra, imponendogli una scuola militare e uno studio raffinato sulle tattiche di battaglia. Per quanto spesso venga snobbato, Serse non è un imperatore pigro e non si limita a guardare i suoi uomini da lontano. Sa combattere, sa come sopravvivere e sa come affrontare un nemico. Dieci anni dopo, è il suo turno di farsi avanti.
La potenza dei due eserciti – Quando il numero non basta
Serse studiò ha lungo il piano di battaglia. Capì di non poter raggiungere Atene per via terra – sarebbero serviti due anni di viaggio e la fatica di conquistare tutti i popoli in mezzo. Avanzò quindi la geniale idea di costruire un ponte composto da 700 navi, in modo che il suo esercito passasse indenne l’Ellesponto, superò il Mar Egeo e raggiunse in soli tre mesi la terra greca.
Era il 480 a.C. I greci erano già a conoscenza dell’arrivo del nemico, tant’è che si rivolsero al loro oracolo per ottenere consiglio, com’era loro usanza prima di un grande evento. Non si deve sottovalutare l’aspetto religioso della battaglia: i greci furono profondamente influenzati dal responso della Pizia, la sacerdotessa dell’oracolo di Delfi. Il responso, tra l’altro, fu abbastanza chiaro nonostante il suo solito parlare enigmatico: tutta la Grecia sarebbe caduta, a meno che non fosse morto sul campo un re discendente da Eracle.
Il re Leonida I di Sparta era certo di discendere da quel mitico personaggio, la cui forza era leggendaria, e si propose per fermare l’avanzata del nemico. Il consiglio, però, non era del suo avviso e gli diede solo 300 uomini da amministrare e da affiancare agli ateniesi che già si stavano muovendo. Leonida scelse di persona i 300 soldati, tra chi aveva figli attraverso cui tramandare la discendenza.
Per capire l’inferiorità numerica basta dire che, ai circa 7mila greci scesi in campo, Serse contrappose almeno 300mila uomini (ma alcuni studiosi arrivano a ipotizzarne anche 2milioni). L’impero persiano, infatti, era così vasto ed equipaggiato che poteva schierare 100mila uomini in qualsiasi momento.
La strategia contro il numero
300mila contro 7mila: 40 volte tanto. La domanda naturale è come i greci poterono anche solo sperare di affrontare un simile esercito con successo. La risposta è in due parole: tattica ed esperienza.
Spiegare la società degli spartani richiederebbe un intero articolo. Già come cultura, i greci davano molto valore allo sport e alla battaglia. Tra questi, gli uomini di Sparta risaltavano un po’ come ai giorni nostri potrebbero risaltare i marines in mezzo a un esercito militare. Erano la guardia dell’élite. Venivano addestrati sin da piccoli al combattimento, a non provare pietà verso i più deboli e a lottare fino alla morte. A 7 anni i figli erano spediti nelle Agoghe, accademie militari specializzate, e da quel momento non facevano altro che rafforzarsi e imparare l’arte della sopravvivenza. Sottolineo la parola “sopravvivenza” e non guerra. Infatti, non soltanto imparavano l’uso delle armi, ma si adattavano a giorni senza cibo, a rubare quando occorreva, ad attaccare di soppiatto.
Vista così, sembrerebbe una realtà brutale. In realtà, la società di Sparta è estremamente affascinante e diversa dalle altre compagne greche.
A ogni modo, non c’erano paragoni tra un soldato persiano e uno greco – men che meno uno spartano. I persiani si basavano sul numero, avevano corazze leggere che potevano deviare le frecce ma non le spesse lance greche. Mettevano in campo una grande varietà di “armi”: fanteria al fronte, cavalleria ai lati, arcieri dal fondo.
Per contro, gli spartani usavano scudi circolari potenti e maneggevoli (gli oplon, da cui il nome “opliti” che indicavano i soldati greci), sui quali potevano fare forza con un intero braccio anziché con la sola mano; indossavano corazze impenetrabili agli attacchi a distanza. Ma soprattutto, vantavano una tattica militare particolare: la falange spartana era fatto da 4 file di 8 uomini messi spalla a spalla, in modo che lo scudo copra il compagno e che non lasci buchi liberi, se non quelli necessari alle proprie lance di affiorare.
La tattica, elemento fondamentale per la vittoria
Il fattore che più influenzò l’esito della battaglia fu il terreno di gioco. I greci sapevano bene di non poter fronteggiare l’immenso esercito sul fronte. L’unica cosa da fare, era impedire ai persiani di sfruttare il numero soverchiante. Fu quindi un’idea stupefacente quella di schierarsi al passo delle Termopili ed aspettare la venuta del nemico: un valico la cui massima ampiezza arriva a 180 metri, circondato a sud da monti alti 1500 metri e a nord da una scogliera che finisce sul mar Egeo. In una posizione come questa, una truppa esperta come gli spartani, abituati sin da piccoli a resistere giorni interi in battaglia, può affrontare di volta in volta un numero di nemici quasi pari, costretti a “stringersi” per entrare nel passo.
Serse lo sa e non accetta lo svantaggio. Prepara 800 navi e li invia a sud, con l’intento di aggirare le Termopili attraverso il mare e di far sbarcare una parte dell’esercito alle spalle dei greci. In questo modo, si troverebbero circondati dagli eserciti sui due fronti e non avrebbero scampo.
Temistocle, l’appoggio indispensabile
A questo punto dobbiamo introdurre l’ultimo, indispensabile protagonista che permise il succedersi della battaglia: il greco Temistocle. Se dovessi descriverlo con degli aggettivi, punterei alla sua capacità strategica: un tattico, un visionario e dotato di una mente sottile. A lui si deve la resistenza greca. Senza il suo intervento – e il suo inganno -, i greci sarebbero capitolati già al primo giorno. Fu, di fatto, importante almeno quanto Leonida, anche se pochi si ricordano di citarlo.
Già nel 490 a.C., dopo la battaglia di Maratona, Temistocle aveva capito l’importanza di avere una buona flotta ad affiancare le truppe di terra. Spinse quindi sulla costruzione delle navi, ma non ottenne appoggi. Sette anni più tardi, quando gli ateniesi scoprirono un giacimento di quasi 2,5 tonnellate di argento, si rifece avanti e propose di usare la ricchezza per costruire la flotta, invece di dividere il ricavato tra il popolo. Anche qui ebbe un rifiuto, ma questo volta si era preparato a ribattere: convinse il consiglio che la vicina isola di Aegina rappresentasse un pericolo per le navi mercantili.
Nel momento della battaglia, i greci poterono usufruire di circa un centinaio di navi. Si trattava di triremi lunghe 27 metri, leggere e veloci, mosse da circa 200 vogatori e capaci di raggiungere i 23 nodi. Non erano adatte allo scontro indiretto, ma il rostro sulle prue permetteva di speronare anche grosse imbarcazioni e di provocare danni ingenti.
Con l’inganno, quindi, Temistocle si procurò la flotta desiderata. I greci dovettero esserne riconoscenti, in futuro, perché fu solo grazie alla sua insistenza se la Grecia poté tentare una difesa marina. In caso contrario, Leonida sarebbe stato soverchiato su due fronti e sarebbe inevitabilmente capitolato, e con essa la Grecia intera, che non aveva altre difese con le quali opporsi.