Perché il Canto di Natale è famoso
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È una storia ricorrente. Quando il freddo di novembre lascia il posto all’ultimo mese dell’anno, il primo legame che mi salta alla testa è il Canto di Natale di Charles Dickens. Il motivo non è nella forma del racconto, che non ha niente di speciale e che da parte mia non considero come un capolavoro di stile. Non è nemmeno per il buonismo che racchiude, un tema tanto sentito in questo periodo di festa: in alcuni tratti il racconto assume dei tratti particolarmente crudi, a volte inquietanti.
Allora perché questo racconto scritto verso la metà dell’800 è diventato di fama mondiale? Semplicemente: il Canto di Natale è l’espressione stessa del Natale.
Il Natale di cui parlo non ha niente a che vedere con la religione. Anche l’ateo più convinto, leggendolo, sentirà crescere a mano a mano una serie di emozioni contrastanti – dalla paura all’aspettativa, dalla tristezza alla gioia.
Il libro di Dickens non è solo un racconto di Natale, è un consiglio, una promessa che dovrebbe spargersi in tutto l’anno. Ecco perché, più che sullo stile del libro, in questo articolo mi concentrerò sul suo contenuto. Quando si intuisce il vero significato del racconto, diventa naturale paragonarlo alla propria vita e capirete cosa ci manca, cosa ci rende tanto insoddisfatti. E si scopre che si tratta di qualcosa di estremamente semplice.
Lo stile del racconto
Parlando del libro vero e proprio, in verità, c’è da dire che ha un italiano e una grammatica un po’ troppo vecchi per godersi fino in fondo il racconto – a meno che non siate lettori appassionati del genere. È uno di quei pochi casi in cui la trasposizione nei cinema è migliore dell’originale. Vi consiglio quindi di guardarvi, prima di tutto, uno dei film più fedeli: in questo modo avrete “assorbito” la vera essenza del Canto di Natale. Ma in ogni caso non dimenticatevi di leggere il racconto di Dickens.
La migliore rivisitazione nei film, a mio avviso, è quella recente della Walt Disney, diretto dal grande Robert Zemeckis: costruito interamente in 3D e interpretato da Jim Carrey, è molto fedele alla storia originale. Ma anche S.O.S. fantasmi, che vede in campo un grande Bill Murray, è un piccolo capolavoro: unisce ironia e divertimento senza dimenticarsi di marcare il vero scopo della trama (che però, rispetto al libro, è adattata ai tempi moderni).
Mentre vi procurate il libro o il film, diamo un’occhiata alla trama del racconto. Lo troverete ricco di significati, di buone intenzioni e di sogni infranti. E una volta che vi sarete identificati con Ebenezer Scrooge – e lo farete senz’altro perché, in ognuno di noi, c’è qualcosa che gli rassomiglia – vi sarà facile capire perché l’uomo non dovrebbe vivere di rimpianti, ma soltanto di rimorsi. La vita è una soltanto. Di quello che ne farete, è una vostra scelta.
I tre fantasmi del Natale
Un avvertimento: nel proseguire la lettura dell’articolo, troverete spiegata l’intera trama. Se non volete rovinarvela, evitate di leggere. Se invece quello che vi interessa è capire il succo del racconto, allora vi consiglio di mettervi comodi e di pensare a come vi sentireste se foste al posto del protagonista. L’idea del racconto è interessante: le sue conseguenze, però, lo sono molto di più.
Introduzione
Il nome originale è A Christmas Carol, un racconto scritto nel 1843 che va a comporre la collana dei Libri di Natale di Dickens. In seguito ha preso i nomi caratteristici di Cantico di Natale e Ballata di Natale.
Inizia in un modo piuttosto singolare per una storia natalizia: la descrizione di un uomo su un tavolo mortuario. La descrizione è fatta fuori campo, ma è chiaro sin da subito che rappresenta il punto di vista di Ebenezer Scrooge, suo socio in affari quando era in vita. L’ironia si mescola infatti a un sottile cinismo.
Scrooge è un vecchio avido, arcigno, maldisposto con chiunque. Il suo unico scopo nella vita è di accumulare ricchezza a danno degli altri, senza tra l’altro mai farne uso. Vive in una casa buia e solitaria – la luce costa – e sfrutta un commesso per quei lavori che lui, troppo vecchio, farebbe fatica a compiere, pagandolo una miseria nonostante questi abbia in carico una famiglia. Odia il Natale: lo vede come un giorno di scadenze. E ancora di più odia chi intona per le strade la musica natalizia, chi si dimostra allegro in quel giorno di festa nonostante la povertà. Per questo rifiuta con rabbia l’invito del nipote a unirsi alla sua cena.
È così che all’antivigilia Scrooge si ritrova nella sua casa, seduto in solitudine sulla poltrona davanti al camino. Sono trascorsi sette anni da quando è diventato socio unico. Ma in quella notte qualcosa è destinato a cambiare.
Nella stanza gli appare infatti lo spettro di Marley, il suo vecchio socio, costretto a portare pesanti catene ovunque vada, metafora delle gravi colpe di cui si è macchiato mentre era in vita. La sua voce è sofferente e non ammette repliche: Scrooge è destinato a sopportare catene ben più lunghe delle sue una volta caduto nella tomba. Lui è lì per avvertirlo ma lo fa in modo particolare: inviandogli tre spiriti, che gli appariranno nei tre giorni seguenti.
La visita dei tre fantasmi
Marley scompare e lascia Scrooge nel suo cupo scetticismo; uno scetticismo che sarà sepolto sotto il macigno delle emozioni. I tre spiriti sono la personificazione degli anni del Natale. Il fantasma del Natale passato gli apparirà in una forma a metà tra un bambino e un vecchio, coperto da una tunica lucente e con una testa che sprizza una luce intensa. Mostrerà a Scrooge la vita che aveva scordato, a partire dalla sua infanzia, per arrivare ai motivi che lo hanno reso avido e costretto a lasciare la sua fidanzata per attaccamento al denaro. Il vecchio è sommerso dai rimpianti, dai ricordi perduti, dalle cose non fatte e che avrebbe potuto cambiare.
Scocca il nuovo rintocco ed è la volta del fantasma del Natale presente. Il suo aspetto è quello di un ridente gigante, travolto dall’abbondanza delle pietanze che sommergono tutta la stanza. I disegnatori, in seguito, lo rappresenteranno con un aspetto molto simile alla versione originale di Babbo Natale.
A questo punto Scrooge è già cambiato, grazie al suo primo incontro. Non è più il vecchio arcigno di prima e fatica non poco a incontrare gli occhi benevoli di quel gigante: la sua colpa gli pesa come una scure. Il fantasma gli mostrerà la povertà tra la gente, che tuttavia vive molto più in allegria rispetto a lui, che trabocca d’oro e passa il tempo senza compagnia. Vedrà il nipote godersi la cena, brindando nonostante tutto allo zio perché prova per lui pena e dispiacere. Ma soprattutto scoprirà che il figlio del suo commesso è gravemente malato e che l’unica cura è troppo costosa per quella famiglia numerosa.
Lo spirito del presente lo lascia con l’ultimo rintocco del giorno, e infine gli appare l’ultimo spettro, il fantasma del Natale futuro. Silenzioso, cupo, incappucciato e avvolto nell’ombra, il fantasma è una promessa di perdizione. Rivelerà a Scrooge le conseguenze del suo agire: nel momento della sua morte, la gente attorno non gli rivolgerà una sola parola buona. Chi lo conosce è disinteressato alla sua sorte, anzi in alcuni casi ne è perfino sollevato. È il caso del nipote, costretto da anni a un debito che non riusciva a pagare e che con la dipartita dello zio potrà saldare nel tempo.
Quando il fantasma impietoso gli mostra la sua tomba, su cui spiccano le parole “Ebenezer Scrooge”, il vecchio cadrà in lacrime, lo pregherà di confortarlo, di assicurargli che non tutto è perduto e che ha ancora tempo di rimediare.
Epilogo e la morale
Scrooge si risveglia nel suo letto. È il giorno di Natale. A dispetto della apparenze, i fantasmi hanno fatto tutto in un giorno. Ma era sogno o verità? Quale sia la risposta, per Scrooge è come essere rinato. Piomba già dalle scale come uno scolaretto, mettendo paura alla sua domestica, e invita un ragazzo di passaggio a comprargli il più grande tacchino del negozio vicino, lodandolo nel frattempo di complimenti. Quel tacchino sarà un segreto dono per il suo commesso.
Ogni cosa, ogni dettaglio, ogni più piccola espressione sono per Scrooge una nuova scoperta e una fonte di contentezza. Si unisce al coro della via, intonando una canzone. Ferma per strada un membro di un’associazione benefica a cui aveva negato la somma e gli elargisce il denaro dovuto, comprensivo degli arretrati. Non accetta ringraziamenti: lo sente come un debito mai saldato. Infine, si prende il tempo per organizzare uno scherzo al suo commesso, che arriva in ritardo sull’orario di lavoro dopo un giorno di festa e di baldoria con la famiglia. Finge un rimprovero e, all’ultimo istante, lo “punisce” aumentandogli lo stipendio. Non solo: da quel giorno, farà spesso visita a suo figlio e pagherà personalmente le cure per guarirlo.
Scrooge non è impazzito. La sua non è un’emozione temporanea, dettata dalla paura lasciata dai tre fantasmi. Le sue azioni benefiche si ripetono di anno in anno, tanto di lui si dice che «non c’è uomo al mondo che sappia così bene festeggiare il Natale». Semplicemente, Ebenezer Scrooge ha capito quanto è fragile una vita. Che un niente può distruggerla e che basta un niente per darle valore e per intrecciarla con gli altri.
La sua rinascita è avvenuta sull’apice della sua esistenza, ma è riuscito a far fronte ai rimpianti e a trasformarli in punti di forza. Voi sapreste sopportare tutto il peso dei suoi rimpianti? Forse vale la pena di evitare di scoprirlo e di agire sin da subito, senza aspettare il rintocco del fantasma del Natale futuro.
SCHEDA RIASSUNTIVA
Stile:
Uno stile semplice e senza pretese, ma di vecchio stampo, visto il tempo in cui è stato scritto. Bisogna prenderci la mano per sentire il racconto scivolare tra le dita. Dickens intreccia la semplicità con una velata ironia, che risulta simpatica più che una frecciatina.
Trama e ambiente:
La storia è densa, concentrata in poche pagine, e preannuncia sin da subito l’evolversi della vicenda; anzi è forse questo tratto distintivo a lasciare il lettore in una continua aspettativa. Anche l’ambiente è suggestivo e ogni riga emana l’odore tipico del 1800. Tanto il paese, quanto la gente che ci vive, sono descritti nei dettagli e con accuratezza. Non è risparmiato il realismo, che rappresenta il grande divario tra ricchi e poveri.
Longevità:
Formato da una manciata di pagine, è possibile leggerlo in un solo giorno e difficilmente lo si riprenderà in mano il giorno dopo. Ma basta lasciar scorrere un altro anno per ritrovarsi a sfogliarlo quasi senza accorgersene, con un gusto sempre rinnovato.