Nei libri di fantapolitica si parla spesso di tecniche segrete usate dal governo per alterare i ricordi dei soldati, tipico esempio di “mistero” legato al dopoguerra e alla Guerra Fredda. Nella fantascienza, poi, troviamo ovunque dei dispositivi impiantati nella testa per cancellare i ricordi scomodi e aggiungerne di nuovi.
Ma a che punto siamo nella realtà per quanto riguarda la manipolazione dei ricordi?
Alterare i ricordi non è sempre un male. Pensate a chi ha subito dei traumi violenti, che non riesce a togliersi dalla testa se non con anni di costose terapie psicologiche, al punto da rappresentare un pericolo per se stesso e per la società. Terapie, puntualizziamo, che a volte si rivelano infruttuose o portano a delle ricadute. Entrare nella psicologia dell’uomo è complicato, perché è personale e il problema va trattato in modo diverso a seconda del soggetto.
Ma se esistesse un modo sicuro e definitivo per cancellare un ricordo orribile, per esempio distruggendo le connessioni nei neuroni che recuperano le informazioni? Alcuni lo troverebbero un metodo immorale, altri invasivo e pericoloso (pensate se finasse in mano a dei criminali), altri ancora farebbero la fila per sottoporsi al trattamento.
Per scrivere l’articolo sono partito da un ottimo riassunto di aprile 2017 realizzato da Valentina Daelli (trovate il link a fondo pagina), dottoranda in neuroscienze cognitive, e ho poi allargato gli orizzonti con delle ricerche personali. I risultati sono stupefacenti.
La mente non è un computer e come agisce è ancora un mistero
Lo sappiamo bene, il nostro cervello è ancora un enigma. Persino un’attività ricorrente come il sogno è in buona parte un mistero incomprensibile, anche se si stanno facendo dei passi avanti sulla ricerca. [se siete interessati, qua trovate un articolo su come controllare i propri sogni].
Abbiamo un’idea abbastanza chiara dei meccanismi chimici che si attivano durante il pensiero e, grazie alle scansioni cerebrali, delle aree coinvolte nello svolgere specifiche azioni. Ma ancora non sappiamo di preciso come funzioni realmente il trasporto delle informazioni, dove i ricordi sono immagazzinati e perché alcuni li dimentichiamo per riportarli alla memoria solo quando ci fa comodo.
Ci hanno provato in molti a sbrogliare il mistero: medici, scienziati, psicologi, teofisici, complottisti, scrittori di fantascienza. Con lo studio sulla fisica quantistica, c’è chi ha ipotizzato che le connessioni tra i neuroni fondino le radici su meccanismi quantistici, motivo per cui per adesso ne sappiamo ben poco (visto che si tratta di una branca giovane della fisica). Alcune idee sono davvero interessanti ma restano, per l’appunto, idee.
Tra le altre cose, sono nati dispositivi che promettono di migliorare la memoria usando una stimolazione magnetica e che possiamo comprare nei negozi: se volete dettagli, vi basta cercare «tDCS» su un motore di ricerca. Prima di dedicarvi allo shopping, però, tenete presente che non è chiara la validità del tDCS e ancora non sappiamo se può avere effetti collaterali nel lungo termine.
Dal lato medico, le tecniche di ipnosi e i trattamenti psicologici in apparenza sembrano poter aiutare il recupero di alcuni ricordi repressi. Tuttavia non esistono controprove, cioè non possiamo sapere con certezza se il ricordo recuperato sia falso o autentico senza ombra di dubbio.
Se c’è una cosa che sappiamo, è che la mente è brava a inventare falsi ricordi e a spacciarli per veri persino agli occhi del proprietario. Diversi esperimenti hanno dimostrato come bastino degli odori per piazzare degli elementi fasulli nella nostra memoria; il cervello poi li elabora, li imprime e ci dà la sicurezza che siano davvero esistiti.
Se capissimo realmente come funziona, potremmo entrare nel cervello, modificarlo e copiare i dati su un supporto fisico, per esempio un hard disk, in modo da recuperare i ricordi a piacere. Magari installarli su un robot per permetterci di vivere oltre i nostri anni, di “risorgere” in un nuovo corpo. Ma non possiamo ancora farlo.
Qualcosa però sta bollendo in pentola e già da diversi anni.
Applicazioni pratiche: la mente si può alterare
Nel 2012 un gruppo di neuroscienziati e psicologi della UCLA, nell’Università della California (Los Angeles), ha inserito un elettrodo nel cervello e ha stimolato delle aree precise, spingendo i volontari a ricordare più facilmente cosa stavano facendo in quel momento. La tecnica si chiama «deep brain stimulation» («stimolazione profonda del cervello») e il fatto che la DARPA, l’agenzia militare statunitense, abbia voluto finanziare il progetto con 15 milioni di dollari è un chiaro segno di quanto siano alte le sue potenzialità. Al momento, però, il deep brain stimulation non sembra dare i frutti sperati.
L’impianto di elettrodi nel cervello non è cosa nuova e in passato ha permesso di trattare casi di epilessia, di Parkinson o della sempre più diffusa depressione. Creare un impianto controllato potrebbe aiutare chi ha subito delle lesioni cerebrali a recuperare i ricordi. Oppure potrebbe aiutare i veterani di guerra a dimenticare le atrocità sul campo o, dalla parte opposta, spingerli a uccidere senza remore considerando che poi la loro coscienza sarebbe “lavata dalle impurità”.
Un metodo simile ma meno invasivo è il TMS, la «stimolazione magnetica transcanica», che usa i campi magnetici per alterare i segnali elettricità del cervello, il tutto senza intaccare fisicamente il nostro corpo. Il TMS ha dato dei risultati, imprimento il ricordo del momento e permettendo di recuperarlo più facilmente in seguito.
Optogenetica e geni killer
Esiste una branca della scienza chiamata “optogenetica”, che combina l’alterazione dei geni e la stimolazione attraverso la luce. La tecnica è, naturalmente, invasiva, perché prima di tutto è necessario inserire nelle cellule un gene che funga da interruttore. Dopodiché, basta usare un fascio di luce mirato per decidere quali neuroni accendere o spegnere.
Fantascienza? Non tanto. Nel 2013 il premio Nobel Susumu Tonegawa ha impiantato falsi ricordi nell’ippocampo dei topi proprio grazie all’optogenetica (a questo link trovate i dettagli). E si parla già di testare l’optogenetica su dei volontari umani: la RetroSense Therapeutics partirà dal trattamento di disturbi della vista, ma c’è da credere che il campo di studi non si fermerà soltanto a questo.
Lo scenario ricorda molto il film di fantascienza Inception, dove i protagonisti impiantavano dei falsi ricordi (delle idee) nelle vittime.
La scienza medica si è spinta anche oltre ed è entrata in un campo inquietante. Un articolo della rivista “BBC Scienze”, sempre di aprile 2017, parla di un altro intervento di optogenetica sperimentata sui topi dall’Università di Yale. Il fascio di luce è andato ad alterare l’amigdala, il centro delle emozioni, innescando un «istinto killer»: il topo era spinto dal desiderio di mordere e di uccidere qualsiasi cosa gli capitasse sottomano, ma soltanto se era stimolato dal laser luminoso; senza il laser, se ne stava tranquillo.
Una precisazione: nella gabbia erano presenti sia oggetti inanimati che altri topi, e il roditore coinvolto si è messo ad attaccare soltanto gli oggetti, lasciando perdere i compagni; tuttavia mostrava dei comportamenti più aggressivi rispetto agli altri del gruppo. L’optogenetica sembra aver “affamato” il topo, che cercava quindi di nutrirsi (e non di uccidere in modo indiscriminato).
L’esperimento dimostra, comunque, che il cervello si può alterare, e spesso con conseguenze imprevedibili.