Introduzione
Nel 2016 uno studio ha dimostrato che in media occupiamo 145 minuti al giorno attaccati al nostro smartphone: in pratica 36 giorni pieni all’anno. Lo facciamo per noia, o perché non vogliamo tenere le notifiche in sospeso, o perché non abbiamo di meglio da fare o altro modo per occupare il tempo.
La tecnologia dà dipendenza come una droga e lo fa con chiunque. La differenza è che per qualcuno diventa davvero un ostacolo per vivere, costringendolo a rivolgersi a centri specializzati. Lo stesso soggetto, rendendosi poi conto di quanto tempo ha “sprecato” senza accorgersene, resta spesso sconvolto. Infatti da quando gli smartphone ci permettono di avere «tutto e subito», sono nate nuove figure psicologiche per gestire i casi di eccesso.
Ma non demonizziamo gli smartphone, in realtà è tutto l’apparato tecnologico a darci dipendenza: videogiochi, serie su Netflix, video su Youtube di gattini che si spaventano, foto da postare su Instagram per restare al passo… Tutto questo dà soddisfazione e gratificazione al nostro cervello, proprio come succede assumendo una droga.
I segnali per capire se siamo dipendenti
L’abitudine di controllare le notifiche o il meteo appena svegliati non è da considerarsi dipendenza, ma se lo facciamo per gran parte del giorno e se – nonostante abbiamo di meglio da fare – non riusciamo a farne a meno, la storia cambia.
Ci sono dei segnali ben evidenti che ci fanno capire di essere dipendenti dalla tecnologia. Il malato non dorme bene, è spesso depresso e colto da ansia. Interagisce poco con gli amici. Se è un videogiocatore o ama le serie tv, non riesce a staccarsi dallo schermo finché non finisce il gioco o la serie, magari passando la notte a guardarsi una puntata dietro l’altra. Se va in vacanza, invece di godersi appieno il panorama si mette ogni tanto a smanettare con il telefonino.
Queste sopra sono le situazioni croniche, ma ci sono segnali minori che ci fanno capire come ci stiamo avvicinando alla dipendenza. Ecco alcuni esempi:
– camminate per strada mentre usate lo smartphone, con la testa abbassata e senza guardare la gente?
– state parlando con qualcuno e non vi fermate dallo smanettare sui tasti?
– avete un impegno e lo ritardate per finire la puntata della vostra serie?
– isocial network sono l’argomento principale delle vostre conversazioni?
Nuove sigle per nuove fobie
È stata coniata una sigla apposita per spiegare la nostra paura di restare tagliati fuori dal mondo: FOMO, «Fear Of Missing Out» (paura di perdersi qualcosa). Una vera e proprio ansia sociale che ci porta a credere che un evento interessante stia succedendo nel mondo e che ci spinge a esserne partecipi.
E i social non sono affatto una soluzione per soddisfare il nostro bisogno sociale, anzi gli studi dimostrano che il suo uso continuo porta ad un aumento della sensazione di solitudine. È ovvio, se ci pensate: scrivere non ci permette di provare le stesse emozioni di un contatto reale, porta a dei fraintendimenti e a domande come «Si ricorderebbero davvero di me se smettessi di rispondere ai loro commenti?».
C’è un modo per uscirne?
Imponetevi degli orari massimi, magari mettendovi la sveglia. Non sforateli e non spostate l’orario più in là di 10 minuti: costringetevi a rispettarli. Esistono addirittura delle app apposite per segnalarvi il fatto di essere rimasti per troppo tempo davanti allo schermo.
Iniziate con gradualità a prendervi delle pause lunghe nell’uso della tecnologia (non guardate lo smartphone almeno per 15-30 minuti). Può sembrarvi strano, ma in gran parte dei casi se vi staccate completamente dalla tecnologia per almeno 3 giorni, ritornerete rinnovati.
Se tuttavia non riuscite ad uscire da soli dalla vostra dipendenza, la cosa migliore è rivolgersi a un centro specializzato. L’aiuto dei famigliari non sempre è sufficiente, anche se è utile per metterci di fronte alle nostre debolezze.
Il problema, infatti, è che la tecnologia è un tramite per stimolare la nostra passione e non è essa stessa una dipendenza. Se siamo sempre attaccati a internet per fare shopping, abbiamo una dipendenza da shopping più che da smartphone. Se il nostro tallone d’Achille è il gioco d’azzardo o il sesso online, lo schermo è solo la porta d’ingresso. Per cui ogni situazione va valutata e affrontata in modo diverso.
La statistica lo dimostra: la dipendenza da tecnologia è un pericolo sociale
Come qualsiasi droga, la dipendenza da tecnologia rappresenta un pericolo sociale. A parte essere fastidiosa per chi ci circonda (non vi dà fastidio quando qualcuno vi parla e continua a guardare lo schermo?), a volte porta a situazioni rischiose senze che il malato se ne renda conto.
L’esempio più evidente è l’uso dello smartphone alla guida. Spesso siamo convinti di avere la situazione sotto controllo, che possiamo permetterci di distogliere un secondo l’attenzione per aprire le notifiche, o addirittura di essere in grado di scrivere un messaggio continuando ad alzare e abbassare la testa. Magari qualcuno di noi continua a farlo perché finora non ha mai avuto problemi.
Basta un solo incidente per cambiare la prospettiva, ma quando capita è già tardi. Si può pensare che il risultato sarà al massimo qualche ammaccatura all’auto, ma le statistiche dimostrano che purtroppo non è così. Nel 2016 soltanto negli USA ci sono stati 6 mila pedoni investiti e uccisi per distrazione (del guidatore o dello stesso pedone che stava smanettando sulla tastiera).
La legge sull’omicidio stradale non ha fatto diminuire il problema, anzi la diffusione sempre più alta degli smartphone ha portato a un aumento degli incidenti mortali del 4,6% nei primi sei mesi del 2017. Il 90% degli incidenti non è dovuto all’alta velocità delle auto, ma alla distrazione, e non è una sorpresa che da quando gli smartphone si sono diffusi gli incidenti siano aumentati.
Non è la tecnologia il pericolo, siamo noi
L’ho ribadito un’infinità di volte in vari articoli che ho trattato: il pericolo non è mai lo strumento, ma chi lo usa. Una pistola non è pericolosa, finché qualcuno non la prende in mano e la carica. Uno smartphone è uno strumento utile, se lo si usa in modo equilibrato. Dobbiamo ammettere che lo smartphone ormai ci è necessario, per lavoro o per mantenersi in comunicazione con gli amici.
A differenza di quello che si immagina, però, la mente umana non ama svolgere più azioni in contemporanea, soprattutto se sono tanto diverse tra loro. C’è proprio bisogno di guardare lo schermo finché si guida, invece di aspettare di arrivare a destinazione o di accostare in un’area di sosta? Vale davvero la pena di camminare a testa bassa e di chiuderci in un mondo così piccolo, rischiando di sbattere la faccia contro un palo della luce?
Che poi, a dirla tutta, guardare un passante camminare a testa bassa in genere suscita due tipi di emozione: pena e derisione. Finché il ragazzo (o l’adulto) non attraversa la strada e non si accorge che un’auto sta arrivando. Allora la derisione si trasforma in tragedia e un comportamento “comico” stravolge di colpo un gruppo di vite: quella della vittima, dei suoi famigliari e dei suoi conoscenti.