Immaginate di aver passato una serata al cinema con degli amici e di aver pagato voi in anticipo i costi del biglietto. Tutti i vostri amici hanno poi saldato il debito, a parte uno: lo incontrate qualche giorno dopo e gli fate notare che deve ancora pagarvi. Lui però afferma di avervi già pagato insieme agli altri.
Voi insistete per principio, siete sicuri di non aver ricevuto denaro, eppure il vostro amico sembra convinto di aver pagato. Il dubbio che siate voi in torto comincia a insinuarsi nella vostra testa.
Questa forma di manipolazione mentale si chiama «gaslighting» («luce a gas»): è una sottile strategia per insinuare il dubbio sulla memoria o sulla percezione di un soggetto. Anche se la vittima era certa al 100% di essere nel giusto, l’insistenza e l’atteggiamento convinto dell’altro la porta ad avere dei dubbi, a credere che dopotutto potrebbe anche essere vero l’opposto.
Una violenza psicologica
L’esempio appena fatto è innocuo, al massimo arrivate a perdere qualche euro, ma il gaslighting potrebbe essere usato per questioni più gravi. Il caso di abuso più frequente è far credere, dopo una discussione, di non aver detto certe frasi che la vittima è sicura di aver sentito.
Può succedere tra partner, tra amici (che non sono dei veri amici, a questo punto…), tra colleghi di lavoro in un ambiente competitivo. In gran parte dei casi il manipolatore è un sociopatico, perché è abituato a mentire e a non seguire le regole morali, e quindi per lui condizionare gli altri rappresenta un modo naturale per ottenere quello che vuole.
Quando l’altra persona in causa è più “potente”, come può esserlo il capo di un’azienda, non possiamo nemmeno ribellarci troppo a lungo e ci sentiamo ingiustamente manipolati. Se succede due, tre volte solo con noi e non con gli altri nostri colleghi, è ovvio che nascano dei dubbi sulla nostra sanità mentale.
Se si viene sottoposti a una manipolazione del genere prolungata nel tempo, la vittima comincia a non fidarsi più della propria memoria. Nei casi peggiori potrebbe impazzire, convinta che buona parte di quello che sente e ricorda non sia la verità. Arrivata a questo livello, la vittima si sente sottomessa al manipolatore, perché non è più sicura di sé stessa.
Il seme del dubbio mette radici
Teniamo presente che il manipolatore usa il gaslighting di proposito: non lo fa una volta sola, ma ripetutamente e in occasioni diverse, logorando con lentezza la mente della vittima. Il caso più frequente è quello tra partner, dove in genere è l’elemento più forte a dire alla compagna o al compagno che «sta esagerando, sta mentendo senza rendersene conto». Poiché la vittima si fida del compagno o della compagna, finirà con il dubitare di sé.
Ci sono poi situazioni estreme in cui il partner cerca di portare la vittima a una pazzia estrema, nascondendole delle cose e dicendole che non sono mai state in casa. Insinuare il dubbio nella mente è un’arma molto potente, a cui nessuno di noi è immune.
Le conseguenze sono crescenti e sempre più gravi: si parte dall’incredulità e a un tentativo di difendersi, per arrivare alla mancanza di sicurezza e di autostima, alla depressione, alla dipendenza dall’opinione degli altri, ai dubbi sulla sanità mentale e su quello che ci circonda.
Le strategie per uscire dalla manipolazione
Noi siamo la nostra mente, quindi ogni forma di violenza psicologica e di manipolazione mentale che ci mette in dubbio è difficile da eliminare. Ma ci sono degli accorgimenti che possono permetterci di capire quando siamo manipolati: soltanto a questo punto possiamo uscirne.
La prima cosa è di non fidarci mai alla cieca degli altri. Se la nostra mente dice che c’è qualcosa che non va, prestiamole attenzione: in gran parte dei casi ha ragione, anche se non capiamo subito il motivo. Non cercate conferme dagli altri sul fatto che «non siete matti», perché quasi di sicuro siete sani di mente. Nei casi più rari in cui siate affetti da patologie psicologiche (parliamo di vere perdite di memoria o di allucinazioni) dovrà essere il medico a dirvelo, cioè un esperto che valuta la situazione, e non certo i vostri conoscenti.
Il secondo passo da fare una volta avvertito che c’è “qualcosa di strano”, è di parlare. Partite con il presunto manipolatore, dicendogli come vi siete sentiti. Può essere infatti che il manipolatore non lo stia facendo apposta (almeno agli inizi) oppure che non si renda conto di farvi del male; può anche essere che abbia lui stesso dei problemi di memoria.
Se parlare con il manipolatore non ha cambiato la situazione, è tempo di rivolgersi a qualcuno di esterno. Iniziate con un amico o un parente di cui vi fidate, che saprà sostenervi e magari aiutarvi. Se la cosa non si risolve (in modo definitivo), rivolgetevi a uno psicologo. È inutile girarci intorno, il nostro cervello è un organo delicato ed egocentrico, per cui farà molta fatica a uscire da solo dal dubbio: serve qualcuno che ci indichi la via per farlo.
Tutto vero, è successo anche a me che qualcuno ci abbia provato in malafede ma… niente da fare: ho una autostima e un’ego grandi quanto un casamento, oltre ad un’ottima memoria. Inoltre, di solito batto il manipolatore con la logica e su quella, è difficile discutere. Nei casi più gravi, come al lavoro per esempio, conoscendo la sporcizia dell’ambiente, registro le conversazioni con il cellulare, faccio copia dei file che produco e fotografo i documenti importanti dato che la classica tecnica di mobbing è far sparire intenzionalmente un documento per poi dare la colpa all’impiegato accusandolo di averlo perso.
La logica è sempre un’ottima arma da usare in situazioni come queste. Comunque se l’ambiente di lavoro è pessimo, non sarebbe una cattiva idea valutare di cambiare… Un datore di lavoro che tiene poco in considerazione i dipendenti in genere crea un clima spiacevole che va in fretta a peggiorare. Non siamo più nel medioevo, il rispetto deve andare in entrambi i sensi: dai dipendenti al datore e viceversa 🙂