Introduzione

(Per sapere cosa puoi fare per segnalare eventuali soprusi, leggi questo articolo)

Che in Italia ci siano canili abusivi, dove gli animali vengono maltrattati e tenuti in vita quel tanto che basta per essere venduti, è una cosa che già sapevamo. Del resto non è un fenomeno isolato, ma diffuso in diversi Stati del mondo. Gli animali sono da sempre un business proficuo e poco punito nella loro illegalità.

Ma fin dove arriva a coprirci di vergogna questa ignobile pratica, nel nostro Paese?

Il sito della Repubblica ha pubblicato i risultati della sua inchiesta e ha diffuso in chiaro i numeri: su 600mila cani randagi, un terzo si trova nei canili. I comuni spendono fino a mille euro all’anno per il loro mantenimento. Fin qui, sembra una buona cosa: anziché lasciarli dispersi per le strade, i randagi vengono assistiti.

Ma è davvero così? In realtà, il denaro viene ben speso solo in una minoranza dei casi. Gli apporti da parte dei comuni non impediscono che i cani siano maltrattati, denutriti e stipati in piccoli spazi. Non solo: spesso sono venduti illegalmente, tanto da alimentare un traffico che produce tra i 200 e i 500 milioni di euro. E la situazione è ancora peggio di quanto vi abbia descritto.

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Il cubo 3x3x3

Il cubo di Rubik è piuttosto recente tra i giochi di “rompicapo”: è nato nel 1974, a opera dell’ungherese Ernő Rubik (da cui prese il nome). Da quell’anno sono uscite diverse versioni del cubo, con una varietà crescente di quadretti per spigolo.

Prendiamo la versione 3x3x3 (cioè con tre quadretti per ogni spigolo), che il cubo più comune. È composto da 8 angoli con 3 facce ciascuno e da 12 spigoli con 2 facce ciascuno. Per trovare le combinazioni possibili dobbiamo tenere conto delle combinazioni di tutti gli angoli con ognuno degli spigoli presenti. Ogni facciata può essere ruotata con varie angolazioni (i tipi di rotazione sono 6, indicati in genere con delle lettere singole per facilitare la lettura degli algoritmi).

In base a questi dati avremo:
8! * 38 * 12! * 212
= 40.320 * 6.561 * 479.001.600 * 4.096
= 519.024.039.293.878.272.000

In realtà, questo numero è ben superiore alle reali combinazioni nel cubo. Infatti dobbiamo tenere presente che non tutte le combinazioni sono possibili: per esempio, un quadratino superiore non potrà mai scambiarsi con un quadratino sullo spigolo. Per trovare il calcolo esatto dobbiamo considerare che, anche smontando e rimontando casualmente i quadratini del cubo, avremo una possibilità su 12 di ricomporlo in modo che sia possibile risolverlo nuovamente: ci basta ricomporre in modo sbagliato un quadratino e ci risulterà sempre e comunque impossibile da risolvere.

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Perché il Canto di Natale è famoso

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È una storia ricorrente. Quando il freddo di novembre lascia il posto all’ultimo mese dell’anno, il primo legame che mi salta alla testa è il Canto di Natale di Charles Dickens. Il motivo non è nella forma del racconto, che non ha niente di speciale e che da parte mia non considero come un capolavoro di stile. Non è nemmeno per il buonismo che racchiude, un tema tanto sentito in questo periodo di festa: in alcuni tratti il racconto assume dei tratti particolarmente crudi, a volte inquietanti.

Allora perché questo racconto scritto verso la metà dell’800 è diventato di fama mondiale? Semplicemente: il Canto di Natale è l’espressione stessa del Natale.

Il Natale di cui parlo non ha niente a che vedere con la religione. Anche l’ateo più convinto, leggendolo, sentirà crescere a mano a mano una serie di emozioni contrastanti – dalla paura all’aspettativa, dalla tristezza alla gioia.

Il libro di Dickens non è solo un racconto di Natale, è un consiglio, una promessa che dovrebbe spargersi in tutto l’anno. Ecco perché, più che sullo stile del libro, in questo articolo mi concentrerò sul suo contenuto. Quando si intuisce il vero significato del racconto, diventa naturale paragonarlo alla propria vita e capirete cosa ci manca, cosa ci rende tanto insoddisfatti. E si scopre che si tratta di qualcosa di estremamente semplice.

Lo stile del racconto

Parlando del libro vero e proprio, in verità, c’è da dire che ha un italiano e una grammatica un po’ troppo vecchi per godersi fino in fondo il racconto – a meno che non siate lettori appassionati del genere. È uno di quei pochi casi in cui la trasposizione nei cinema è migliore dell’originale. Vi consiglio quindi di guardarvi, prima di tutto, uno dei film più fedeli: in questo modo avrete “assorbito” la vera essenza del Canto di Natale. Ma in ogni caso non dimenticatevi di leggere il racconto di Dickens.

La migliore rivisitazione nei film, a mio avviso, è quella recente della Walt Disney, diretto dal grande Robert Zemeckis: costruito interamente in 3D e interpretato da Jim Carrey, è molto fedele alla storia originale. Ma anche S.O.S. fantasmi, che vede in campo un grande Bill Murray, è un piccolo capolavoro: unisce ironia e divertimento senza dimenticarsi di marcare il vero scopo della trama (che però, rispetto al libro, è adattata ai tempi moderni).

Mentre vi procurate il libro o il film, diamo un’occhiata alla trama del racconto. Lo troverete ricco di significati, di buone intenzioni e di sogni infranti. E una volta che vi sarete identificati con Ebenezer Scrooge – e lo farete senz’altro perché, in ognuno di noi, c’è qualcosa che gli rassomiglia – vi sarà facile capire perché l’uomo non dovrebbe vivere di rimpianti, ma soltanto di rimorsi. La vita è una soltanto. Di quello che ne farete, è una vostra scelta.

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Cosa dicono i dati

(Per sapere cosa puoi fare per segnalare eventuali soprusi, vendi in fondo all’articolo)

Avete presente i cani e i gatti che circolano per le strade senza padrone?
Se li credete una “piaga” da estirpare, forse dovreste prima leggervi questo articolo e considerare perché ci sia un così alto numero di randagi e chi ha permesso la loro proliferazione.

Se guardiamo qualche numero, ricavato dall’organizzazione LAV in una statistica, nella sola Italia contiamo:
590.549 cani randagi, di cui un terzo in canili
2.604.379 gatti randagi
135.000 animali abbandonati dai loro padroni ogni anno

È un tema più scottante di quanto crediate e lascia come minimo un retrogusto di amaro e una rabbia naturale a chi rispetta la vita animale. Qua parlo di cani e di gatti, perché sono i compagni domestici più comuni, ma la vicenda coinvolge qualsiasi tipo di animale, esotico o non esotico. Entriamo brevemente nei dettagli, tanto per farvi un’idea della situazione.

Cosa succede agli animali abbandonati?

L’80% degli animali abbandonati finisce ucciso a causa di incidenti stradali. Di questo eravamo già a conoscenza. Ma il lato più preoccupante è un altro: gran parte degli animali randagi finisce in un traffico illegale che frutta centinaia di milioni di euro. La destinazione di questi cani e gatti è soprattutto il nord Europa: nella migliore delle ipotesi vengono subito uccisi e diventano cibo per scatola; nella peggiore, prima di essere soppressi su di loro vengono fatti dolorosi esperimenti.

Senza spingersi fino a questo punto, però, i casi di maltrattamento di animali in Italia sono davvero numerosi. A iniziare dai canili illegali tenuti in pessime condizioni, dove gli animali sono denutriti, non curati e hanno uno spazio ristretto nel quale muoversi. E per finire nelle case ordinarie, dove i padroni non sempre trattano l’animale domestico secondo la legge: violenze, percosse, catene troppo corte, esami non accurati, addirittura combattimento tra cani a scopo di guadagno.

A tutto questo si può porre rimedio. E, soprattutto, potete essere voi il punto di partenza di un cambiamento.

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Introduzione

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Era il 1823 quando uscì, in forma pubblica, il poema chiamato A Visit from St. Nicholas, destinato a lasciare un’impronta indelebile all’aspetto di Babbo Natale così come lo conosciamo: vestito di rosso, con una lunga barba bianca e una faccia bonaria.

La poesia, inizialmente anonima, fu in seguito attribuita a Clement Clarke Moore (anche se c’è chi dà la paternità a Henry Livingston) ed è conosciuta anche con i nomi di The Night Before Christmas e Twas the Night Before Christmas.

Una poesia particolare

Cosa rende quest’opera natalizia tanto particolare? Innanzitutto, tra le sue righe ha definito non solo l’aspetto di Babbo Natale, ma anche il mezzo con cui trasporta i doni, i nomi delle sue renne e in generale lo svolgimento dell’intera notte della vigilia (e ricordiamo che le renne sono solo alcune tra le figure che circondano Babbo Natale).

Mi resta soltanto da presentarvi questa splendida poesia. Se siete tra quelli che “annusano” la magia del Natale non appena si aprono le porte di dicembre, leggetela fino in fondo: la troverete senz’altro piacevole e riconoscerete gran parte degli elementi che accomunano la figura del nostro Babbo Natale.

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Introduzione

Come sempre quando si parla di misure nel regno animale, è difficile dare una risposta esatta: capita di trovare esemplari più “dotati” in una specie che in genere lo è meno, oppure semplicemente di scoprire una nuova specie animale che riscriva i dati in archivio.

Per un serpente è ancora più complicato, perché da vivo si raggomitola e, anche da morto, si potrebbe stendere manualmente oltre il dovuto, visto che ha un corpo estremamente elastico. Nel rispondere mi baso su una ricerca fatta su più fronti.

Pitone e anaconda a confronto

Nell’anno 2007, allo zoo del villaggio di Curugsewu (Isola di Giava, in Indonesia), ha fatto la sua comparsa un pitone che misurava oltre 14 metri di lunghezza, un vero record anche per una specie di serpente che in genere supera facilmente gli 8 metri di lunghezza. Dobbiamo quindi considerarlo un caso isolato, più unico che raro.

Anche l’anaconda, ritenuta da molti il serpente di maggiore lunghezza, in realtà ha delle misure inferiori ai 10 metri. In questo caso, specifico, stiamo parlando di serpente “più lungo” e non “più grande”, perché altrimenti l’anaconda non avrebbe rivali.

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Introduzione

Pensate a un astronauta che, a causa di una grave avaria alla navicella dove stava, si ritrova improvvisamente a vagare nel vuoto siderale. La sua tuta protettiva è danneggiata e presto diventa inutilizzabile.

Le conseguenze in campo fisico sono immediate e provocano un collasso rapido e violento. La speranza di vita dell’astronauta, purtroppo, non supera il minuto e mezzo, un tempo insufficiente persino perché eventuali compagni possano portargli soccorso.

Cosa è successo al nostro astronauta? Paradossalmente, non è la temperatura gelida ad averlo ucciso: nello spazio non esistono particelle con cui il corpo dell’astronauta può scambiare calore e quindi i tessuti non possono “congelare”. Il freddo sopraggiunge per un altro motivo, come vedremo tra poco. Nel complesso, sono gli stessi elementi che compongono il suo corpo a tradirlo, uniti alle particolari condizioni fisiche dello spazio.

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Introduzione

Vi siete mai fermati a pensare a quante probabilità c’erano che nasceste esattamente così come siete? Quali fattori, casualità, eventi e intrecci vi hanno portato alla luce? E vi siete mai chiesti quante probabilità esistono che un altro individuo nasca identico a voi?

Se non lo avete mai fatto, forse è il caso che vi sediate comodi e leggiate con calma questo articolo. C’è chi si è messo a calcolare, in numeri, le probabilità di successo. Si tratta naturalmente di cifre approssimative, perché è impossibile per chiunque tenere conto di ogni fattore, e serve più che altro a darci un’idea dell’argomento.

Ma se avrete la pazienza di leggerlo fino in fondo (o di leggere i punti chiave), vi renderete conto di quante “coincidenze” sono state necessarie per darvi la vita e, di conseguenza, di quanto ognuno di noi possa essere considerato estremamente unico e speciale.

Quando avrete finito di leggerlo, scendete un po’ più in profondità e soffermatevi su una domanda che vi propongo e che, spero, vi porterà per lo meno a riflettere.

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Introduzione

È possibile che l’uomo sia vissuto al tempo dei dinosauri e abbia condiviso il loro mondo selvaggio? Uno storico negherebbe subito e scuoterebbe la testa, prendendovi per complottisti (giustamente). Dopotutto, i dinosauri si sono estinti ben 65 milioni di anni fa, mentre il primo ominide degno di tale nome non è venuto al mondo prima di 6-7 milioni di anni fa.

Di tutt’altro parere sarebbe uno studioso di pseudoarcheologia, quella branca della scienza che cerca di risaltare il lato non riconosciuto dalla storia ufficiale. Le prove le avrebbe, tra le altre cose, nelle oltre 15 mila pietre di Ica che il dottor Javier Cabrera Darque arrivò a collezionare, che unite a quelle contenute nei musei arrivano a un totale di ben 50 mila manufatti.

Cosa sono le pietre di Ica

Le pietre di Ica sono ciottoli di andesite, una roccia comune negli strati vulcanici la cui durezza si attesta al 4.5 della scala di Mohs (consideriamo che il diamante ha una durezza di 10 sulla scala di Mohs: l’andesite è quindi difficile ma non impossibile da intagliare, naturalmente se si possiede i dovuti strumenti).

Alcune analisi sull’ossido che le ricopre le ha datate a circa 12 mila anni fa. Di varie dimensioni, furono trovate – in circostanze poco chiare – in un letto del fiume e cominciarono a essere vendute nei mercati di Ica nel 1961. Se ne ha comunque traccia già cinque-sei secoli prima: un cronista le descrive come corredo dei nobili inca al tempo del re Pachacùtec, in pratica attorno al 1400 d.C.

Una biblioteca su pietra

Cos’hanno di tanto particolare queste pietre? Innanzitutto, nonostante la durezza, sono ricoperte di incisioni, e considerando la datazione dell’ossido attorno è già di per sé un fatto eccezionale che un qualche ominide sia riuscito a scavarle. Ma la questione più assurda è cosa rappresentino le incisioni: sono una vera e propria biblioteca di scienza (in questo caso di parla di glittoteca, cioè biblioteca di pietre cesellate).

Gli argomenti delle immagini mostrano dettagli che una civiltà primitiva non dovrebbe conoscere e figure animali già estinte al tempo della nascita dell’uomo. Al Museo di Cabrera in cui risiedono sono state catalogate per tipologia: Animali preistorici, Astronautica, Astronomia, Continenti antichi, Esodo di uomini dalla terra, Flora e Fauna, Medicina, Grandi catastrofi, Razze del pianeta, Strumenti musicali.

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Introduzione

Qualche mese fa avevo letto la notizia di un ragazzino della Germania che, all’età di 9 anni, si era messo in testa di piantare un milione di alberi nel proprio Paese. Dopo una lezione a scuola che riguardava la fotosintesi clorofilliana, aveva piantato il suo primo alberello a Monaco, sotto la finestra della sua classe.

Tre anni dopo ha mantenuto le sue promesse. Non solo: il suo successo è stato tale, che Felix Finkbeiner – questo il suo nome – ha lanciato una nuova scommessa: piantare 500 miliardi di alberi per raggiungere il trilione in dieci anni. Il 4 maggio 2010, quando il primo milione è stato raggiunto, al fatto hanno assistito i rappresentanti di 45 nazioni.

Lo credete impossibile per un ragazzino, una fantasticheria da bambini? Forse perché siete adulti. Forse perché, in realtà, trovate impossibile il poterlo fare voi stessi. Ma Felix non ha i nostri pregiudizi e – a ragione – non ha mai avuto molta fiducia nell’attivismo degli adulti. La sua ispirazione è stata l’ambientalista Wangari Muta Maathai, che ha aiutato a piantare più di 40 milioni di alberi con la sua associazione Green Belt Movement. Tra l’altro, è stata la prima donna africana a ricevere il premio nobel per la Pace.

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