Natura ingovernabile
8835 eventi meteorologici disastrosi. 1,94 milioni di vittime nel mondo. Circa 2400 miliardi di danni. Sono questi i dati riferiti dalla World Meteorological Organization su un periodo che va dal 1971 al 2012. Quarant’anni di fenomeni naturali che l’uomo, industrializzato o meno, non è riuscito a gestire o a contenere.
Che il meteo sia in continua evoluzione era già risaputo ed è chiaro che episodi isolati di particolare violenza possono sempre capitare. Nel 2003, per esempio, il caldo e la siccità hanno messo l’Europa in ginocchio, provocando 70 mila vittime di cui 20 mila solo in Italia. Ma senza andare troppo lontano nel tempo, anche il 2014 ha segnato delle anomalie, con piogge torrenziali, grandinate violente e un’estate che praticamente non si è presentata. Per fortuna non ci sono state così tante vittime come nel 2003, ma i danni ci sono stati e ci saranno senz’altro ripercussioni future a causa dei danni all’agricoltura.
Il passato ci spiega che l’essere umano non sarà mai sufficientemente in grado di affrontare i fenomeni meteorologici fuori controllo. Lo dimostra il fatto che i disastri sono andati in crescendo con il passare degli anni, anziché diminuire. Eppure le nostre conoscenze sulla fisica sono aumentate. Allora perché siamo ancora in balia della natura?
Distribuzione dei popoli, globalizzazione e aumento dei fenomeni
Il motivo è proprio nello sviluppo tecnologico. I Paesi industrializzati aumentano di numero, di conseguenza le popolazioni si aggregano in luoghi principali e sono più esposte allo stesso fenomeno disastroso. Aggiungiamo che i nuovi Paesi si sviluppano lungo aree soggette al fenomeno – come le coste di mari e oceani. Più edifici e strumenti, inoltre, significano più “oggetti” distrutti dal maltempo e più danni economici. La globalizzazione non aiuta: nel 2011 la Thailandia è stata devastata da un’alluvione e l’evento si è ripercosso all’estero, dove le auto e l’elettronica non erano più esportati, causando una perdita economica di circa 40 miliardi di dollari.
Ma non è soltanto colpa della distribuzione dei popoli. I fenomeni disastrosi sono effettivamente in aumento.
Nel 1983 la siccità dell’Etiopia ha causato circa 300 mila vittime, e altrettante sono state provocate dall’alluvione in Bangladesh del 1970. Nel 1984, sempre la siccità ha causato 150 mila morti in Sudan. Meno vittime ma più danni economici sono dovuti all’uragano Andrew del 1992 e all’uragano Sandy del 2012, che hanno portato a una perdita di circa 50 miliardi di dollari ciascuno. Ancora peggio è avvenuto con l’uragano Katrina del 2005: la perdita stimata è di 146,89 miliardi di dollari.